Le app sanitarie stanno assumendo un ruolo sempre più significativo nei percorsi di cura, evolvendo da strumenti di supporto al benessere quotidiano a veri e propri dispositivi che affiancano o, in alcuni casi, integrano le terapie tradizionali.
Nel suo intervento al Convegno dell’Osservatorio Life Science Innovation del Politecnico di Milano, la direttrice Chiara Sgarbossa ha messo in luce benefici percepiti, resistenze e condizioni necessarie per una adozione sistemica delle app sanitarie.
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App sanitarie: l’approccio di medici e farmacisti
Medici e farmacisti giocano un ruolo decisivo nella diffusione delle app sanitarie.
Il 41% dei Medici di Medicina Generale e il 33% dei medici specialisti ha già consigliato ai propri pazienti l’utilizzo di applicazioni per il monitoraggio dei parametri clinici.
Percentuali più basse, ma comunque significative, si registrano per le app finalizzate al miglioramento dello stile di vita: rispettivamente il 24% dei medici di base e il 31% degli specialisti le hanno raccomandate.
Anche i farmacisti si dichiarano pronti a supportare i pazienti. Il 43% ritiene utile un’attività di educazione sull’uso corretto delle app, così da evitare interpretazioni scorrette dei dati, mentre il 38% si vede come possibile facilitatore nel consigliare le soluzioni più affidabili.
Secondo Sgarbossa, questa disponibilità a svolgere una funzione di mediazione e accompagnamento conferma la necessità di una rete di competenze che coinvolga tutti gli attori della filiera sanitaria.
Il punto di vista (e i timori) dei pazienti
Le app sanitarie sono utilizzate soprattutto per:
- monitorare i parametri clinici;
- migliorare lo stile di vita;
- favorire l’aderenza terapeutica.
È proprio quest’ultimo aspetto a emergere come particolarmente rilevante: il 66% dei pazienti intervistati ha dichiarato un forte interesse per strumenti digitali capaci di sostenerli nella costanza della cura, mentre il 51% riconosce nelle app un aiuto concreto nel seguire le terapie prescritte con maggiore regolarità.
Il beneficio più citato riguarda la possibilità di acquisire una maggiore consapevolezza rispetto al proprio stato di salute: il 56% dei pazienti ha segnalato come l’utilizzo di applicazioni contribuisca a rafforzare la conoscenza della propria condizione clinica e a sentirsi più coinvolto nel percorso terapeutico.
Accanto a questi vantaggi, emergono tuttavia alcune criticità. Una quota non trascurabile dei partecipanti alla survey coordinata dall’Osservatorio ha espresso timori legati alla raccolta dei dati: il 22% teme di essere eccessivamente controllato, mentre il 21% ha dichiarato dubbi circa l’effettivo utilizzo delle informazioni registrate dalle app.
Queste preoccupazioni, osserva Sgarbossa, rappresentano una barriera culturale e tecnologica da affrontare per favorire una diffusione più ampia e consapevole.
App sanitarie e terapie digitali: quali differenze?
Un passaggio cruciale dell’intervento di Chiara Sgarbossa ha riguardato la distinzione tra semplici app sanitarie e vere e proprie terapie digitali (Digital Therapeutics, DTx).
Queste ultime, come definito dal testo unificato adottato dalla Commissione Affari Sociali della Camera nel luglio 2025, sono interventi terapeutici mediati da software, progettati per prevenire, gestire o trattare una patologia modificando il comportamento del paziente con l’obiettivo di migliorare gli esiti clinici.
La percezione dei medici evidenzia un gap informativo: solo il 35% degli specialisti conosce chiaramente la differenza tra le due categorie. Tuttavia, tra chi è consapevole della distinzione, la propensione a prescrivere una terapia digitale sale al 60%, contro il 36% di chi non ha familiarità con la definizione. Questo dato, sottolinea Sgarbossa, mette in luce come la formazione giochi un ruolo chiave nell’accelerare l’adozione di nuove soluzioni terapeutiche.
Oltre il 70% dei medici specialisti ha infatti espresso interesse a seguire corsi di aggiornamento specifici sulle DTx, segnale che la cultura professionale si sta muovendo verso una maggiore apertura, a patto che vengano fornite le competenze necessarie.
Imprese: l’assenza di un quadro normativo chiara frena il settore Life Science
Dal punto di vista delle imprese, l’adozione di app sanitarie e terapie digitali è ancora frenata da ostacoli strutturali.
In particolare, il 69% delle aziende dell’ecosistema Life Science ritiene che l’assenza di un quadro normativo chiaro sia il principale ostacolo allo sviluppo del settore.
A questo si aggiungono la difficoltà di valutare con precisione il ritorno sugli investimenti (54%) e la necessità di un massiccio processo di upskilling interno, segnalata dal 62% delle aziende.
Sul piano istituzionale, però, si registrano segnali di avanzamento. Il testo normativo adottato dalla Commissione Affari Sociali prevede la definizione ufficiale di terapia digitale, l’istituzione di un comitato nazionale di valutazione e la possibilità di inserire le DTx nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Si tratta di un passo rilevante che, come osserva Sgarbossa, può contribuire a stabilire regole certe e percorsi di adozione sostenibili per il sistema sanitario nazionale.
Lo scenario internazionale delle terapie digitali
Guardando al quadro globale, il censimento presentato dall’Osservatorio mostra come siano oggi 112 le terapie digitali già disponibili a livello internazionale, con un incremento di 19 soluzioni rispetto all’anno precedente.
Le aree terapeutiche più coperte sono:
- salute mentale (35% delle DTx);
- endocrinologia (22%);
- reumatologia (9%);
- neurologia (9%).
Un elemento interessante riguarda le modalità di erogazione: diminuisce la quota di DTx stand alone, oggi al 29% (-14%), mentre cresce l’integrazione con farmaci (37%) e dispositivi (34%).
Questa evoluzione segnala la tendenza a un approccio sempre più combinato in cui le terapie digitali non sostituiscono ma affiancano altri trattamenti.
Gli ostacoli da superare e le sfide da vincere
Le app sanitarie e le terapie digitali offrono la possibilità di raccogliere dati utili per la ricerca, personalizzare la cura e rendere il paziente più consapevole del proprio percorso.
Tuttavia, precisa Sgarbossa, la loro diffusione richiede di superare una serie di ostacoli. Tra questi:
- la fiducia dei cittadini nell’uso dei dati;
- la formazione dei professionisti;
- la definizione di modelli di business sostenibili per le aziende;
- la certezza regolatoria per chi sviluppa le soluzioni.
L’esperienza italiana, sottolinea la direttrice dell’Osservatorio, dimostra che il terreno è fertile ma ancora in fase di costruzione.
La sfida principale è creare un ecosistema capace di bilanciare innovazione, sicurezza e reale utilità clinica, affinché strumenti nati come semplici applicazioni possano diventare parte integrante dei percorsi di cura.






