Un numero incredibile di aziende tecnologiche, nel corso di quest’ultimo anno, si è lanciata nel mercato delle terapie digitali, che già nel 2019 ammontava a 1.7 miliardi di dollari e che alcuni studi stimano possa raggiungere i 9.4 miliardi entro il 2028 (ma qualcuno ipotizza addirittura prima, nel 2024).
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Terapie digitali, le due “parole magiche”
Ogni giorno, assistiamo ad annunci – da parte delle società afferenti a tale mercato – dello sviluppo e del lancio delle loro terapie digitali. Merito, anche, della forza di attrazione del termine. Due parole che, immediatamente, riportano al concetto di strumento digitale per la cura/assistenza dei pazienti, molto più nobile, agli occhi di molti, dei termini “app per la salute” o “app mediche” che andavano per la maggiore fino all’anno scorso. Il tutto amplificato dagli innumerevoli convegni ed eventi in ambito tecnologico nei quali le aziende presentano le loro soluzioni, i loro “case study” in sessioni specificatamente rivolte alle “digital therapeutics”, come tali terapie sono definite in inglese.
Cosa NON sono le terapie digitali
Chiariamo subito le cose. Su questo argomento esiste una grande confusione data dalla limitata conoscenza della definizione di terapie digitali. Per spiegare cosa sono, è forse più facile spiegare cosa non sono.
Non sono terapie digitali quegli strumenti hardware e software che si limitano a fornire informazioni sulle patologie senza esserne parte attiva (come le app informative), che raccolgono dati che non sono utilizzati per fornire alcun servizio al medico o al paziente, come per esempio le app rivolte al benessere (tanto per capirci, quelle che favoriscono l’esercizio fisico o la corretta alimentazione) o quelle che forniscono servizi come la prenotazione o la refertazione. Questi sono strumenti di digital health spesso appartenenti al mondo dei gadget, per i quali non esistono prove di efficacia (clinica) o anche solo di affidabilità/sicurezza della validità delle informazioni fornite o dei dati raccolti.
Non sono terapie digitali neanche quegli strumenti che misurano parametri fisiologici, anche quando sono sottoposti a validazione clinica, o quando sono registrati come dispositivi medici.
Per esempio, non sono terapie digitali i braccialetti o gli orologi intelligenti in grado di identificare (anche con una affidabilità scientificamente dimostrata) episodi di fibrillazione atriale, o quei sistemi che trasformano uno smartphone in un ecografo (anche quando approvato da un ente regolatorio), o le pillole intelligenti composte da farmaco e sensore biocompatibile (anche quando approvate da Food and Drug Administration, l’ente regolatorio americano di farmaci e dispositivi medici).
E non sono terapie digitali tutte quelle soluzioni (digitali) che:
- permettono di monitorare (e – per quanto possibile – gestire automaticamente) i sintomi e le reazioni avverse a certi farmaci dei pazienti seguiti da casa (che siano basati su tecnologia indossabile o frutto di dati riportati direttamente dai pazienti, i cosiddetti Patient Report Outcome) affinché i medici possano essere allertati nelle situazioni di emergenza
- permettono di promuovere, anche attraverso semplici reminder, l’aderenza al trattamento farmacologico
Non sono terapie digitali nemmeno i cosiddetti Patient Support Program (PSP), strumenti digitali che molte aziende farmaceutiche stanno implementando per aiutare a gestire le patologie dei pazienti presso le loro abitazioni. Il fatto, poi, che questi strumenti siano basati su modelli di intelligenza artificiale, non cambia affatto le cose.
Al massimo, tutti questi strumenti possono essere inquadrati nel campo della “digital medicine” o medicina digitale, sempre che siano stati validati scientificamente attraverso studi clinici e che siano approvati da enti regolatori come dispositivi medici.
Cosa sono (davvero) le terapie digitali
Le terapie digitali sono altro. Sono quelle tecnologie che “offrono interventi terapeutici che sono guidati da programmi software di alta qualità, basati su evidenza scientifica ottenuta attraverso sperimentazione clinica metodologicamente rigorosa e confermatoria, per prevenire, gestire o trattare un ampio spettro di condizioni fisiche, mentali e comportamentali”.
Il trattamento delle terapie digitali si basa su modifiche del comportamento o degli stili di vita e sulla applicazione (digitale) di interventi cognitivo-comportamentali attraverso l’implementazione di linee guida e programmi. Possono avere la forma di app, ma anche quella di videogioco, di sistema web-based, di realtà virtuale.
La prima caratteristica fondamentale delle terapie digitali è che lo strumento digitale deve fornire una vera e propria cura. Spesso, tali terapie sono accompagnate da foglietti illustrativi che illustrano la posologia e gli effetti collaterali.
Per esempio, la “dose” consigliata di Endeavor (un videogioco approvato come terapia digitale da Food and Drug Administration per aumentare la concentrazione nei bambini che soffrono di ADHD) è di 25 minuti al giorno 5 giorni alla settimana per 4 settimane (che poi è lo schema oggetto dello studio clinico a supporto della terapia).

La seconda caratteristica fondamentale è che le terapie digitali possono definirsi tali solo al termine di una sperimentazione clinica randomizzata confermatoria condotta su molti pazienti (NON sono validi gli studi pilota, tanto per intendersi).
Non diversamente da quanto avviene per misurare l’efficacia dei farmaci (i cui risultati sono alla base della eventuale approvazione di un ente regolatorio), si utilizzano le sperimentazioni cliniche randomizzate, modelli di ricerca che prevedono di confrontare l’efficacia su specifici esiti di salute (che devono essere scelti prima dell’inizio dello studio clinico) dello strumento di digital health nei pazienti che lo usano rispetto a quelli che non lo usano (che impiegano, cioè, la cosiddetta cura standard).
Per evitare possibili distorsioni, l’assegnamento di un paziente al braccio di intervento (tecnologico) o al braccio di controllo avviene in maniera del tutto casuale. Soltanto se l’efficacia dell’intervento è superiore (in maniera statisticamente significativa) rispetto a quella ottenuta nel braccio di controllo, si può pensare di sottomettere lo studio (e quindi lo strumento) a un’agenzia regolatoria per l’approvazione come terapia digitale.
Una volta approvate da un ente regolatorio, le terapie digitali potrebbero essere prescritte dai medici e rimborsate dal Sistema Sanitario Nazionale oppure, come avviene in Germania o negli Stati Uniti, dalle assicurazioni.
Le (vere) terapie digitali si contano sulla punta delle dita
Esistono soltanto alcune decine di terapie digitali nel mondo. Tra le altre, la Food and Drug Administration ha approvato ReSET (un’app che offre una terapia cognitivo-comportamentale per curare chi soffre di problemi di dipendenza e abuso di oppiacei), l’app BlueStar Diabetes per la gestione dei pazienti diabetici (agendo su esercizio fisico e alimentazione i pazienti “trattati” vedono ridursi l’emoglobina glicata in maniera significativa rispetto ai corrispondenti controlli non “trattati”), programmi online come quelli di Omada Health per aiutare a perdere peso diminuendo il rischio cardiaco, oltre alla già citata Endeavor (videogioco per aumentare la concentrazione in età pediatrica).
Diverse sono poi le terapie digitali per smettere di fumare, le quali, implementando programmi nazionali e internazionali per la cessazione da fumo e fornendo stimoli motivazionali e supporto alla pianificazione, si sono dimostrate efficaci e di conseguenza autorizzate al commercio (insieme al programma terapeutico sperimentato) dai principali enti regolatori.

In Italia? Le terapie digitali autorizzate non ci sono ancora
In Italia, purtroppo, le cose non procedono come nel resto del mondo.
Sarà per la mancanza di una cultura adeguata da parte dei medici verso le nuove tecnologie, sarà per l’insufficiente conoscenza, da parte di startup e sviluppatori, del metodo scientifico che porta alla validazione clinica e alla dimostrazione della efficacia (clinica) degli strumenti che realizzano, sarà per la carenza di una regolamentazione del fenomeno delle terapie digitali, ma certo è che le terapie digitali – nel nostro Paese – pur essendovi alcune imprese attive e progetti avviati in questo settore – non sono così conosciute e sviluppate. Al punto che ad oggi, in Italia, non vi sono ancora terapie digitali autorizzate.

Una maggiore conoscenza della tematica da parte degli sviluppatori (per quanto riguarda la metodologia di ricerca clinica) e da parte dei clinici (degli aspetti tecnologici), unita a una maggiore disponibilità alla collaborazione tra produttori e centri di ricerca abituati a usare questa metodologia, potrebbe aiutare a uscire dalla confusione e realizzare, anche in Italia, le prime terapie digitali.
Per approfondimenti sulle terapie digitali si suggerisce la lettura del documento “Terapie digitali: un’opportunità per l’Italia”, di cui chi scrive è coautore.
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