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Software di AI in Sanità: quando (e se) è brevettabile



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Intelligenza Artificiale, software e brevetti: quali tutele per le innovazioni in ambito sanitario? L’applicazione dell’AI alla pratica medica pone interrogativi nuovi sul piano della brevettabilità del software. Una riflessione su criteri, prassi e prospettive

Pubblicato il 14 lug 2025

Luca D'Agostino

Avvocato specialista in diritto penale – Studio Legale Dagostinolex



brevetti software in sanità

L’evoluzione digitale della Medicina sta riscrivendo i confini dell’attività clinica, diagnostica e chirurgica, rendendo il software una componente sempre più centrale nei dispositivi utilizzati in ambito sanitario.

Sistemi informatici integrati nei macchinari diagnostici, algoritmi di supporto alla decisione medica, software di imaging e piattaforme di gestione automatizzata dei dati clinici stanno contribuendo a trasformare la prassi medica, migliorando efficienza, accuratezza e personalizzazione delle cure.

In questo scenario, si assiste a un’esplosione di innovazioni algoritmiche che spesso rappresentano il vero cuore tecnologico del dispositivo medico. Tuttavia, proprio nel momento in cui il software assume una funzione essenziale nei processi sanitari, si pongono interrogativi rilevanti circa le forme di tutela giuridica applicabili, in particolare con riferimento alla brevettabilità delle soluzioni basate su software.

Intelligenza Artificiale e brevetti software in Sanità

Se è vero che il brevetto rappresenta uno degli strumenti principali per valorizzare e proteggere le invenzioni ad alto contenuto tecnologico, non altrettanto chiara è la sua applicabilità alle soluzioni algoritmiche impiegate nel settore sanitario, soprattutto quando queste incorporano elementi di intelligenza artificiale.

Le regole tradizionali sulla brevettabilità del software si confrontano oggi con sistemi adattivi, non deterministici e in continua evoluzione, rendendo incerto il perimetro della tutela e spingendo giuristi, tecnologi e operatori del settore a interrogarsi su quali siano le condizioni effettive per l’ottenimento di un diritto di esclusiva su queste nuove frontiere dell’innovazione digitale.

Brevettabilità del software: principi generali e limiti normativi

Nel diritto europeo e nazionale, la protezione brevettuale del software incontra un limite strutturale: il software in quanto tale non è, in linea di principio, brevettabile.

Tale esclusione, desumibile nell’ordinamento italiano dall’articolo 45 del Codice della Proprietà Industriale (d.lgs. n. 30/2005), riflette l’idea che i programmi per elaboratore appartengano a un dominio astratto, privo di quei caratteri tecnici che giustificano la concessione di un diritto di esclusiva tipico delle invenzioni industriali.

Tuttavia, la stessa normativa apre a un’importante eccezione: il software può essere oggetto di brevetto quando produce un effetto tecnico ulteriore rispetto alla semplice esecuzione di istruzioni su un elaboratore. In tal caso, il programma cessa di essere considerato “in quanto tale” e assume rilevanza industriale, rientrando tra le invenzioni brevettabili purché rispetti i requisiti generali di novità, attività inventiva e applicazione industriale.

Questa apertura, interpretata e sviluppata dalla prassi dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO), consente oggi – almeno in linea teorica – il riconoscimento di titoli di privativa per soluzioni algoritmiche che interagiscono concretamente con componenti fisiche o che determinano un miglioramento verificabile del funzionamento di un sistema tecnico.

Il software non è dunque escluso a priori dalla tutela brevettuale, ma solo nella misura in cui resti confinato a un dominio puramente logico, gestionale o matematico, privo di correlazione con un contesto tecnico e produttivo. È in questo spazio intermedio, delicato e continuamente evolutivo, che si colloca il dibattito sui brevetti software in Sanità e sulla brevettabilità dei sistemi digitali in ambito sanitario.

Brevetti in Sanità: quando il software è parte del dispositivo

Nel settore medico-sanitario, l’integrazione del software nei dispositivi è ormai strutturale. Tecnologie come la diagnostica per immagini assistita da computer (CAD), le piattaforme per la chirurgia robotica, i sistemi di monitoraggio remoto dei parametri vitali o gli applicativi per la gestione automatizzata di cartelle cliniche, rappresentano solo alcune delle declinazioni più avanzate di un processo in corso da anni.

In questi casi, il software non si limita a svolgere una funzione ancillare, ma diventa il componente centrale che governa l’interazione tra sensori, attuatori e interfacce medico-utente.

Quando il programma informatico consente, ad esempio, l’elaborazione tridimensionale di immagini ecografiche per la pianificazione di un intervento chirurgico, oppure guida in tempo reale un braccio robotico durante una procedura operatoria, esso incide direttamente sull’azione terapeutica o diagnostica. In tali scenari, la prassi dell’EPO ha in più occasioni riconosciuto la presenza di un effetto tecnico concreto, idoneo a fondare la brevettabilità del sistema nel suo complesso, inclusa la componente software.

Tuttavia, anche in presenza di dispositivi medicali avanzati, la brevettabilità non è mai automatica: occorre che la descrizione dell’invenzione evidenzi con sufficiente precisione come il software contribuisca al funzionamento tecnico del dispositivo e quale vantaggio concreto esso introduca rispetto allo stato della tecnica.

È su questo terreno che l’innovazione sanitaria si gioca la possibilità di essere riconosciuta come invenzione brevettabile, al di là del mero apporto organizzativo o informativo del codice.

Intelligenza Artificiale e apprendimento automatico: una nuova sfida per il diritto brevettuale

Negli ultimi anni, l’impiego dell’intelligenza artificiale nella pratica medica ha conosciuto una crescita esponenziale. Dalla predizione dell’insorgenza di patologie croniche alla stratificazione del rischio clinico, fino alla classificazione automatizzata di immagini radiologiche, le applicazioni di AI sono ormai parte integrante dell’ecosistema sanitario digitale.

Gran parte di questi sistemi si fonda su algoritmi di machine learning o deep learning, in grado di apprendere dai dati clinici, modificare autonomamente i propri parametri interni e affinare progressivamente le proprie prestazioni.

Questa capacità adattiva rappresenta, da un lato, un’enorme opportunità per l’innovazione terapeutica e diagnostica; dall’altro, introduce variabili giuridiche inedite, soprattutto quando si tratta di valutare l’ammissibilità della tutela brevettuale.

A differenza dei software tradizionali, i programmi basati su machine learning non seguono un flusso statico e deterministico di istruzioni, ma generano comportamenti che dipendono dalla qualità e dalla quantità dei dati utilizzati in fase di addestramento, nonché dal contesto operativo in cui vengono applicati.

Il risultato è una forma di “plasticità” funzionale che rende difficile, se non talvolta impossibile, prevedere con certezza il comportamento futuro del sistema o circoscriverne ex ante tutte le possibili applicazioni industriali.

Questo elemento, sebbene sia al cuore della potenza innovativa dell’intelligenza artificiale, entra in potenziale frizione con alcuni requisiti strutturali della brevettazione, come la sufficiente descrizione dell’invenzione e la sua ripetibilità tecnica.

Ne deriva che la stessa natura evolutiva di questi sistemi impone una riflessione critica sulla loro qualificabilità giuridica per la brevettazione.

Brevetti software in Sanità: quando (e se) è brevettabile un software di AI in ambito medico?

Stabilire se un software basato su intelligenza artificiale, impiegato in ambito medico, possa essere oggetto di tutela brevettuale non è questione lineare.

Le prassi interpretative attuali, in particolare quelle dell’EPO, richiedono che, anche nel caso di software AI, si dimostri la presenza di un effetto tecnico ulteriore, che superi la mera elaborazione di dati o la gestione algoritmica di informazioni. A ciò si aggiunge l’onere di descrivere in modo sufficientemente chiaro e completo il funzionamento dell’invenzione, così da permettere a un tecnico del settore di riprodurla.

Nel caso dei software che impiegano machine learning, tuttavia, tali requisiti diventano particolarmente complessi da soddisfare. L’attività inventiva non si esaurisce nella struttura iniziale del modello, ma si dispiega anche – e soprattutto – nel processo di apprendimento, che può dar luogo a risultati non pienamente determinabili al momento del deposito della domanda.

Ci si chiede, allora, se sia davvero possibile descrivere con la necessaria esattezza un sistema che, per definizione, evolve nel tempo e apprende da fonti esterne non controllate dall’inventore.

In ambito medico, dove la sicurezza e la tracciabilità dei processi sono elementi essenziali, tale indeterminatezza può rappresentare un ostacolo alla brevettazione.
Un software AI impiegato per il riconoscimento di pattern tumorali, ad esempio, potrebbe migliorare progressivamente le proprie prestazioni grazie a set di dati clinici sempre più ampi, ma tale miglioramento – pur costituendo un progresso tecnologico rilevante – potrebbe risultare non descrivibile in anticipo, né riconducibile a un contributo tecnico originale e non ovvio così come richiesto dal diritto brevettuale.

A ciò si aggiunge un dubbio metodologico più profondo: l’invenzione è nell’algoritmo o nei dati che lo alimentano? E, ancora, qual è il confine tra un software realmente innovativo e una semplice applicazione di modelli già esistenti a un nuovo dominio clinico?

In assenza di risposte normative univoche, il rischio è quello di un’applicazione non omogenea dei criteri di brevettabilità, con ricadute sulla certezza del diritto e sulla valorizzazione economica delle innovazioni in Sanità.

AI e brevetti software in Sanità: un equilibrio ancora da costruire

Un sistema che apprende, si adatta e modifica progressivamente i propri parametri operativi può, nel tempo, sviluppare funzionalità o applicazioni industriali non previste né volute in origine dal suo sviluppatore. Tale evoluzione, se da un lato costituisce un indice di sofisticazione e valore tecnologico, dall’altro mina alcuni presupposti essenziali del diritto brevettuale: la ripetibilità dell’invenzione, la stabilità dell’effetto tecnico e la determinabilità del contributo inventivo al momento del deposito.

A ciò si aggiunge la difficoltà di tracciare il confine tra l’idea protetta e le sue derivazioni spontanee, specie laddove l’algoritmo generi – nel corso del proprio apprendimento – soluzioni autonome a problemi clinici non contemplati inizialmente.

In un contesto tanto delicato come quello sanitario, il rischio è che la tutela brevettuale, concepita per cristallizzare un’invenzione in un dato momento storico, risulti inadeguata a contenere l’evoluzione autonoma di un sistema adattivo, con implicazioni potenzialmente critiche per la sicurezza dei pazienti e per la trasparenza dei processi diagnostici.

Di fronte a queste trasformazioni, il quadro normativo attuale appare ancora ancorato a categorie tradizionali, nate per invenzioni più “statiche”. Una riflessione aggiornata sui criteri di brevettabilità del software – in particolare nei settori ad alto impatto sociale come la Medicina e la Sanità – sembra dunque auspicabile.

Forse non sarà sufficiente adeguare le prassi interpretative: potrebbe rendersi necessario un intervento sistemico, che colmi le lacune esistenti e offra strumenti di tutela coerenti con la complessità delle innovazioni algoritmiche. Fino ad allora, la brevettabilità dei software di intelligenza artificiale in ambito sanitario resta un terreno ibrido, in cui le certezze del diritto si confrontano con la continua mutevolezza della tecnologia.

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