Monitoraggio remoto

Intelligenza artificiale per il Covid-19? A volte può bastare un SMS…

Nei pazienti Covid-19, il monitoraggio attraverso semplici sistemi di messaggistica e risponditori automatici è associato a una mortalità ridotta.
E’ quanto emerso da uno studio pubblicato su Annals of Internal Medicine, una delle riviste mediche più note al mondo

Pubblicato il 17 Feb 2022

Eugenio Santoro

Unità di ricerca per la sanità digitale e le terapie digitali, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS

“Less is more”: sembra essere questo il messaggio di uno studio pubblicato su “Annals of Internal Medicine” – una delle riviste mediche più note al mondo – dedicato al monitoraggio domiciliare dei pazienti risultati positivi al tampone per Covid-19.
L’uso di un servizio di monitoraggio remoto automatizzato, questo il risultato principale, è associato a una mortalità ridotta nei pazienti con Covid-19, a un uso più frequente da parte di questi ultimi di visite in telemedicina e a un maggiore (e anticipato) ricorso al pronto soccorso. Il tutto senza utilizzare avveniristici sistemi basati su Intelligenza artificiale, ma sfruttando semplici sistemi di messaggistica e risponditori automatici.

COVID Watch: un semplice SMS sul cellulare

Andiamo per ordine. Il 6 marzo 2020 si è verificato il primo caso di Covid-19 in Pennsylvanyia. Il 23 marzo dello stesso anno, l’Università della Pennsylvania ha riadattato un sistema automatico di monitoraggio dei pazienti afferenti a Penn Medicine – una rete di 6 ospedali americani e centinaia di studi ambulatoriali – per il monitoraggio di pazienti con Covid-19, ribattezzata per l’occasione “COVID Watch“.

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Il sistema automatico di monitoraggio “Covid Watch” adottato dall’Università della Pennsylvania
(foto: Alejandro A. Alvarez – The Philadelphia Inquirer)

Il sistema è molto semplice. Una volta verificata la positività per Covid attraverso un tampone e verificati specifici criteri di inclusione, gli operatori sanitari afferenti a questa rete inviavano un SMS sul cellulare del paziente verificando il suo interesse a partecipare al programma di sorveglianza. In caso di accettazione, il paziente iniziava a ricevere in automatico, per due volte al giorno, un messaggio con la seguente domanda:
Come ti senti rispetto a 12 ore fa: meglio, uguale o peggio?“.
I pazienti che rispondevano “peggio” ricevevano un messaggio con la successiva domanda: “È più difficile del solito per te respirare: sì o no?“.
Per i pazienti che rispondevano “sì”, veniva generato un avviso affinché un medico potesse contattare il paziente telefonicamente entro 1 ora. Ciascuna delle risposte era codificata da un numero per rendere le cose più semplici. Al di fuori dei check predefiniti, ai pazienti entrati nel programma è stato chiesto di inviare in qualsiasi momento il messaggio di testo “peggiore” per attivare una richiamata dal medico.

Obiettivi e campione dello studio

Il programma di sorveglianza (attivo 24 ore al giorno) è durato 14 giorni più eventuali 7 giorni per coloro che avevano accettato di essere seguiti per un periodo superiore.
Nel programma sono stati reclutati, complessivamente, 3488 pazienti. Per ciascuno di questi, dalle cartelle cliniche elettroniche della rete di ospedali afferenti a Penn Medicine e ad altre reti di ospedali operanti in Pennsylvania e in altri stati limitrofi, sono stati ricavati dati anamnestici, clinici, accessi ai pronto soccorso e a prestazioni di telemedicina.
Gli obiettivi principali dello studio erano verificare la mortalità e l’accesso al pronto soccorso (entrambi a 30 giorni e 60 dal test di positività).
Per misurare l’efficacia di COVID Watch, questi stessi obiettivi sono stati confrontati con quelli osservati in un gruppo di 4377 pazienti di controllo (scelti a caso tra coloro a cui il programma non era stato proposto). Nel confronto, sono state adottate tecniche di analisi multivariate per “ripulire” l’efficacia del sistema digitale da eventuali effetti confondenti (cioè, per pesare la sua efficacia, per esempio, in funzione della possibile diversa gravità delle patologie preesistenti nei due gruppi o per i diversi gruppi sociali di appartenenza).

Risultati positivi: una vita salvata ogni 400 pazienti

I risultati sono stati molto positivi. A 30 giorni dalla positività, sono deceduti 3 dei 3488 (0.09%) pazienti reclutati nel braccio di intervento rispetto a 12 su 4377 (0.27%) nel gruppo di controllo, corrispondente a una riduzione relativa del 64% a favore del gruppo di intervento (che si traduce in una vita salvata ogni 400 pazienti arruolati o una ogni 4 giorni durante le settimane di maggiore arruolamento). Altrettanto buoni sono stati i risultati a 60 giorni, dove si è osservato un numero di decessi pari a 5 complessivi nel braccio di intervento (0.14%) rispetto ai 16 complessivi nel braccio di controllo (0.37%, p<0.002).

Risultati interessanti si sono osservati anche nell’accesso al pronto soccorso, aumentato a 30 giorni da 252/4377 (5.8%) nel braccio di controllo a 489/3488 (14%) nel gruppo di intervento (p<0.001) e a 60 giorni da 350/4377 (8%) a 602/4377 (17.3%) nei medesimi gruppi (p<0.001), con una riduzione del numero di giorni rispetto al primo accesso a favore del gruppo di intervento (6.6 vs. 8.9).

La riduzione della mortalità e l’aumento dell’accesso al pronto soccorso è da associare anche all’aumento di prestazioni di telemedicina (una via per monitorare i pazienti che usavano COVID Watch era, appunto, questa), rilevate in 2170/3488 (62.2%) pazienti appartenenti al gruppo di intervento e in 1265/4377 (28.9%) pazienti nel gruppo di controllo (p<0.001).

Tecnologia sanitaria e digital health: less is more 

Cosa ci insegna questo studio?
Intanto, che il movimento “less is more” (che molti propongono per alcune scelte in Medicina) può essere applicato anche alla tecnologia (sanitaria) e alla digital health.

Lo studio dimostra, infatti, che non è necessario realizzare strumenti eccessivamente elaborati (o intelligenze artificiali dal funzionamento poco trasparente) e adottare tecnologie sofisticate per monitorare da remoto lo stato di aggravamento di patologie come Covid-19. E che SMS, smartphone e risponditori automatici possono essere sufficienti per lo scopo.

Inoltre, dimostra che la disponibilità di sistemi di cartelle cliniche informatizzate (e, quindi, dei dati in esse contenute), la loro interoperabilità e la loro accessibilità sono condizioni irrinunciabili per la costruzione di qualunque sistema digitalizzato in ambito sanitario.

Infine, suggerisce che i sistemi di telemedicina favoriscono il monitoraggio in situazioni di emergenza.

Il tutto a costi inferiori  rispetto a quelli sostenuti dagli usuali sistemi di monitoraggio
(e i dati dello studio, anche se qui non riportati – ma illustrati nella ricerca originaria e nell’editoriale di accompagnamento – lo dimostrano).

Tutti aspetti che contribuiscono a identificare ciò come un modello di monitoraggio da remoto per tutti quei pazienti, dimessi dagli ospedali o dagli ambulatori, con patologie per le quali è cruciale identificare con tempestività eventuali peggioramenti.

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