Robot Assisted Surgery

La robotica serve ma è anche sexy: nuovi chirurghi con il joystick in mano

Bella, appealing e, forse, estremamente utile: la chirurgia robotica tra presente e futuro. Ma come si colloca il chirurgo in questa fase di transizione tecnologica? Quali nuove competenze deve sviluppare, per stare al passo con i tempi, la figura del chirurgo “senza le mani dentro”?

Pubblicato il 02 Mag 2022

Alessandro Giardino

MD, PhD, FACS, FRCS - Specialista in Chirurgia Generale Unità di Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica, Peschiera del Garda (VR) - Presidente SICOP (Società Italiana di Chirurgia dell'Ospedalità Privata)

“Grande taglio, grande chirurgo”. Solo il chirurgo capace ed esperto “meritava” di eseguire interventi complessi, altamente demolitivi e che prevedevano grandi incisioni. Interventi che venivano eseguiti in grandi anfiteatri, consentendo ai chirurghi in formazione di assistere “da vicino”.

L’evoluzione della chirurgia, dai primi dell’Ottocento in poi, era rivolta alla tecnica chirurgica e alla progressiva conoscenza delle conseguenze fisiologiche che la rimozione o ricostruzione dell’anatomia potevano provocare. Grandi sforzi erano rivolti alla riduzione di sanguinamenti o delle infezioni post-chirurgiche.

La tecnologia entra in sala operatoria

Dopo la Seconda guerra mondiale, “l’esplosione tecnologica” ha portato i macchinari all’interno delle sale operatorie. Luci scialitiche, flussi di asportazione, monitor, ventilatori, divennero presto la routine di ogni blocco chirurgico.

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Il chirurgo utilizza strumenti, da sempre: pinze, forbici, angiostati. Dall’inizio del XX secolo, grandi nomi della chirurgia proponevano strumenti che poi sarebbero diventati di routine in un set chirurgico: Pean, Kocher, Kelly, Mayo, Metzenbaum. Nomi che non hanno mai smesso di essere citati nelle sale operatorie.
Da allora, la ricerca nel campo della strumentazione chirurgica ha dominato la passione dei chirurghi.

La chirurgia robotica mininvasiva

L’idea di trovare un modo per ridurre l’invasività dell’intervento chirurgico germogliò sottobanco nel 1925, quando il Re d’Italia Vittorio Emanuele III venne operato di ernia inguinale con una grossa incisione. I medici del tempo lo costrinsero a letto per circa due settimane e da lì serpeggiò l’idea che si dovesse trovare un modo meno invasivo per risolvere le patologie chirurgiche. Tanto che alcuni testi medici, da lì in avanti, teorizzavano l’immobilità come terapia di molte patologie acute, come ad esempio la perforazione intestinale.

Ai giorni nostri, la dimestichezza con le metodiche mininvasive è diventata un requisito essenziale per poter svolgere l’attività. I chirurghi “open” vengono visti come “vintage” da molti chirurghi di generazioni più recenti, nati e cresciuti con la tecnologia.

Da Vinci primo robot chirurgico?

Il robot chirurgico ha stravolto ogni immaginario. Non più un semplice strumento ma un amplificatore degli organi di senso dell’operatore e un “sostituto” più capace e preciso.
Come si colloca il chirurgo in questa nuova fase di transizione tecnologica? Quali nuove competenze deve sviluppare per stare al passo con i tempi?

Il robot, che nei suoi presupposti tecnologici ha visto le basi negli anni ’80 o forse prima, momento in cui anche la rivoluzione industriale fungeva da propulsore per i sistemi di automazione, ha dovuto però attendere la difficoltosa procedura di brevetto nel 1999, quando la neonata Intuitive lanciò il primo sistema chirurgico robotizzato: il sistema Da Vinci.

Solo l’anno dopo, l’FDA ne approvava l’utilizzo nella pratica clinica e da lì, pian piano, si diffuse in tutti i paesi civilizzati.

In realtà però, pur essendo al giorno d’oggi il primo vero robot chirurgico completo, nonché quello più largamente utilizzato, il Da Vinci non è il primo robot presente sul mercato.

Il robot Da Vinci (fonte: Intuitive Surgical)

A cosa serve il robot chirurgico

La robotica chirurgica, che più tecnicamente viene chiamata Robot Assisted Surgery, è una branca dell’ingegneria medica che si propone di sviluppare un sistema automatizzato per operare a distanza. Questo è stato il primum movens della nascita del robot chirurgico. Non la precisione o la miglior visione, ma la possibilità di manovrabilità a distanza. Quest’ultima può variare da pochi centimetri (micromanipulation) a milioni di chilometri (chirurgia spaziale). Tutto questo nacque ben prima del XXI secolo.

La storia del robot chirurgico

Il primo sistema robotico teleoperato fu sviluppato dopo la Seconda guerra mondiale, più precisamente nel 1948, anno in cui Ray Goertz sviluppò un sistema per manipolare materiale radioattivo a distanza. Ben presto, l’applicazione nell’industria del nucleare divenne solamente una piccolissima parte di quello che questo sistema avrebbe potuto rappresentare per un mercato più ampio, come l’ingegneria aerospaziale e la chirurgia.

Alla fine degli anni ’50 nacque il RAMS (Robotic Assisted Micro Surgery), sviluppato dal Pentagono per operare a distanza i feriti di guerra. Tale sistema prevedeva un telecontrollo dei movimenti di bracci chirurgici manipolati a distanza dalla consolle guidata dal chirurgo.
L’evoluzione di questo robot venne realizzata dal sistema PUMA che, nel 1985, consentiva di eseguire biopsie cerebrali.

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Il sistema RAMS (Robotic Assisted Micro Surgery) sottoposto a test di laboratorio (fonte: JPL Robotics – NASA)

Agli inizi degli anni duemila, però, due industrie americane in parallelo lavoravano alacremente per sviluppare un robot telecomandato per le sale operatorie. Accanto all’Intuitive Surg, con il suo sistema Da Vinci, anche la Computer Motion lanciò due robot: il sistema AESOP – che presentava un singolo braccio endoscopico controllato a pedale – e il sistema ZEUS che prevedeva più bracci gestiti in contemporanea.
A seguito di una competizione agguerrita, Intuitive Surg e Computer Motion decisero di fondersi nel 2003 dando origine alla Intuitive Surgical Inc. e da lì il robot Da Vinci IS 1200 vide i suoi natali nelle sale operatorie statunitensi.

Robot chirurgico: le alternative al Da Vinci

Oltre allo storico sistema Da Vinci, distribuito in Italia da AbMedica, hanno oggi iniziato a germogliare altri sistemi robotici tra cui:

  • Versius (CMRsurgical)
  • Medtronic Hugo
  • TELELAP ALF-X (TransEnterix Inc).

Versius Surgical Robotic System | Transforming Surgery. For Good.
Il sistema robotico Versius in azione (fonte: CMRsurgical)

Questi modelli hanno puntato sulla riduzione dell’ingombro del robot e sulla versatilità e manovrabilità.
I presupposti sono i medesimi ma alcune caratteristiche li distinguono dal sistema Da Vinci: bracci modulari indipendenti e consolle più piccole con schermi 3D tradizionali (non immersivi).


Robot chirurgico: com’è fatto

Il robot chirurgico  è costituito da tre componenti:

  • consolle chirurgica
  • carrello paziente
  • carrello visione.

La consolle chirurgica
È il centro di controllo di tutto il sistema. È un sistema di seduta ergonomica in cui il chirurgo si appoggia e da dove, guardando all’interno di uno schermo ad alta definizione 3D, manipola due controller ed esegue i movimenti che il robot effettuerà sul paziente.
Nel visore stereo, le punte degli strumenti si allineano con le mani del chirurgo che impugnano i manipolatori al fine di simulare il naturale allineamento di occhi, mani e strumenti tipico della chirurgia open. Il dimensionamento in scala dei movimenti e la riduzione del tremore forniscono un ulteriore controllo che minimizza l’impatto del tremore fisiologico delle mani del chirurgo o di movimenti involontari.
L’operatore alla console chirurgica, inoltre, ha la possibilità di passare dalla vista a schermo intero a una modalità a più immagini (visualizzazione TilePro™), che mostra l’immagine 3D del campo operatorio insieme ad altre due immagini (ecografo, ECG).

Il carrello paziente
È il componente operativo ed è costituito da un grosso braccio (boma) da cui partono quattro bracci su cui vengono montati gli strumenti chirurgici e la telecamera.
Il sistema Da Vinci fa uso di una tecnologia a centro remoto, un punto fisso nello spazio attorno al quale si muovono le braccia del carrello paziente. Questa tecnologia consente al sistema di manipolare gli strumenti e gli endoscopi all’interno del sito chirurgico minimizzando la forza esercitata sulla parete corporea del paziente.

Il carrello visione
È l’unità centrale di elaborazione dell’immagine, una colonna con video da cui partono le regolazioni delle strumentazioni ad energia e il sistema di insufflazione della CO2 per gli interventi addominali.


Robot chirurgico: come funziona e come lo usa il chirurgo

Date le dimensioni dell’intera strumentazione, il robot chirurgico necessita di spazi ampi per consentire il movimento della strumentazione senza compromissione della sterilità.
Per effettuare un intervento robotico servono due chirurghi: l’operatore che sta seduto alla consolle e l’aiuto che controlla il posizionamento degli strumenti al carrello paziente.

Una volta posizionato il paziente sul letto operatorio, anestetizzato e connesso al sistema di monitoraggio, viene preparato per l’accesso al robot. Questa procedura, che si chiama Docking, prevede, dopo l’effettuazione di alcune piccole incisioni (8 mm) e l’inserimento dei canali operativi (trocar), di avvicinare il robot e connetterlo ai trocar.

Viene poi effettuata una calibrazione del sistema ottico che prevede che il boma ruoti automaticamente orientando ergonomicamente i bracci operatori verso il sito chirurgico. Vengono successivamente inseriti gli strumenti per l’esecuzione dell’intervento, cambiabili nel corso dello stesso a seconda delle necessità.

Da questo momento in poi, il chirurgo operatore alla consolle è libero di manovrarlo.

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Robot chirurgico: tecnologie e movimenti

Per il controllo dei movimenti, si utilizzano due occhielli nei quali infilare le dita ed eseguire movimenti estremamente simili a quanto avverrebbe in un intervento tradizionale. Tali movimenti vengono riprodotti in maniera più precisa all’interno del paziente.
Il dimensionamento in scala dei movimenti e la riduzione del tremore forniscono un ulteriore controllo che minimizza l’impatto del tremore fisiologico delle mani del chirurgo o di movimenti involontari.
In aggiunta, la tecnologia endowrist prevede che lo strumento all’interno del paziente abbia un grado di mobilità su 7 assi, simile ma maggiore rispetto a quello della mano umana, con un grado di articolazione prossimo ai 360°.

Il robot utilizza una tecnologia che si chiama Immersive Intuitive Interface che, oltre alla riproduzione “intuitiva” dei movimenti umani, consente una visione 3D immersiva nel campo operatorio, con capacità di ingrandimento di 10 volte.

È possibile, inoltre, utilizzare una doppia consolle funzionante per i chirurghi in training.

Robot chirurgico: i vantaggi

La chirurgia robotica presenta notevoli vantaggi, in particolar modo riferibili al comfort, per il chirurgo, nella visualizzazione e manipolazione durante gli interventi mininvasivi.

L’immersività della visione 3D con ingrandimento fino a 10 volte consente di migliorare la visione delle strutture, anche quelle più piccole, riducendo lo stress visivo e consentendo una perfetta visione 3D.
La manipolazione precisa ed estremamente articolata consente di ridurre il tremore fisiologico e di eseguire dissezioni delicate e piccole.

Molti interventi hanno giovato della piattaforma robotica tanto da essere molto vicini al diventare il gold standard, ossia il riconoscimento del robot come best treatment (ad esempio, nel caso della prostatectomia radicale).

L’intervento mininvasivo, riducendo di molto le dimensioni delle ferite chirurgiche, consente una ripresa precoce e un’importante riduzione del dolore post-operatorio.
La magnificazione della visione unitamente alla manovrabilità consentono una precisione maggiore e, dunque, una sensibile riduzione dei sanguinamenti.

È ancora presto per definire il reale spazio che verrà riservato alla chirurgia robotica in tutti i tipi di chirurgia, ma grandi passi avanti sono stati già compiuti.
La mininvasività è un valore e una strumentazione “intuitive” consente di apprendere la tecnica più velocemente rispetto alla chirurgia laparoscopica tradizionale.

Il mercato della chirurgia robotica

Dai primi interventi del 1999 ad oggi, l’utilizzo del robot ha subito un’espansione esponenziale, arrivando a contare in totale circa 7 milioni di procedure eseguite, 1.200.000 interventi eseguiti solo nel 2019 di cui 23.600 in Italia.

Nel mondo, ci sono circa 6700 piattaforme robotiche, di cui 111 in Italia.

Intuitive Surgical ha dominato dall’inizio il settore della chirurgia robotica, il cui mercato globale è stimato attorno ai 4,5 miliardi di dollari (2022). Un mercato che però, recentemente animato dalla competizione con altre compagnie alla scadenza del brevetto, potrebbe di fatto quadruplicare il suo valore nel giro di otto anni, arrivando a superare i 18 miliardi di dollari nel 2030 (previsioni simili a quelle – ancora più rosee – di Verified Market Research, società di data analysis secondo cui il mercato della chirurgia robotica vale già oggi attorno ai 6 miliardi di dollari ed entro il 2028 il suo valore  dovrebbe più che triplicare, arrivando a sfiorare i 22 miliardi di dollari).

Sebbene il Da Vinci rappresenti tutt’oggi la piattaforma più utilizzata, Vergard Nerseth, amministratore delegato di CMR Surgical, è fiducioso che la sua azienda possa competere in Europa, dove la robotica chirurgica è ancora non così ampiamente diffusa: “Il nostro robot ha un polso davvero unico – ha affermato l’AD -. Ecco perché siamo in grado di rendere i nostri robot molto più piccoli di qualsiasi altro marchio, il che ci mette nelle condizioni di rappresentare un’offerta davvero unica”.

Robot chirurgico: le valutazioni costo-benefici

Il mercato della chirurgia robotica, però, è ancora “frenato” dallo scetticismo di molti legato ai costi dello strumento e a quelli di manutenzione, certamente non ancora perfettamente controbilanciati dai benefici del suo utilizzo.

In aggiunta, la scarsità di chirurghi adeguatamente formata al suo utilizzo corrobora la tesi dei detrattori, come afferma Roger Kneebone, professore di chirurgia all’Imperial College di Londra, che afferma che “il robot non è una panacea ma solo un cerotto sulle questioni di forza lavoro”.

Sebbene, negli USA, questo scetticismo sia già stato ampiamente superato, arrivando a stimare, ad esempio nel Michigan, il 15% di interventi robotici, in Europa gli ardori sono ancora più placati, arrivando a contare soltanto il 2% di interventi robotici.

Chirurgia robotica: migliore (anche) perché più sexy?

Richard Sullivan, direttore dell’Institute of Cancer Policy del King’s College di Londra, afferma che la corsa statunitense verso la chirurgia robotica è stata in parte motivata dalla tecnofilia: “I pazienti –  sostiene il direttore – spesso ritengono che la chirurgia robotica debba essere di per sé evidentemente migliore perché la tecnologia “sembra più sexy”, sottolineando come i chirurghi che esitino sulla chirurgia robotica siano sempre più tacciati di “luddismo”.

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Il professor Richard Sullivan, Kings College London (fonte: KCL)

Al di là dei pareri – a volte contrastanti e talora scettici – sulle motivazioni d’uso e la stessa convenienza della chirurgia robotica, è prevedibile come la competizione tra aziende abbasserà moltissimo l’asticella del rapporto qualità-prezzo e ciò genererà una riduzione della quota di scetticismo e consentirà una maggiore accessibilità a tali tecnologie, piattaforme e dispositivi da parte delle strutture sanitarie.

Il futuro della chirurgia robotica

Nei prossimi dieci anni si definiranno con più precisione gli ambiti in cui la chirurgia robotica apporterà sensibili miglioramenti se confrontati con approcci più tradizionali.
Il freno, in questo tipo di sviluppo, è legato alla scarsità di chirurghi con un elevato skill.
Se, nella Scienza, i numeri “parleranno”, diverso sarà il problema di integrare sistematicamente e istituzionalmente le competenze robotiche all’interno dei percorsi formativi del chirurgo.

A livello scientifico, i prossimi sviluppi saranno difficoltosi e gravati da percorsi più complessi.
Il paradosso di Moravec, alla base della ricerca in campo robotico e di intelligenza artificiale, si basa sul considerare che il ragionamento umano ad alti livelli richiede pochissimo calcolo, mentre le capacità senso-motorie di basso livello richiedono enormi sforzi computazionali.
Il principio è stato articolato negli anni ’80 da Hans Moravec che scriveva: “È relativamente facile fare in modo che i computer mostrino prestazioni di livello adulto nei test di intelligenza o nel giocare a dama, mentre è difficile o impossibile acquisire le competenze di un bambino di un anno quando si tratta di percezione e mobilità“.
È per questo che la ricerca tecnologica, in termini di integrazione tra robotica e intelligenza artificiale e lo sviluppo di sensori aptici, sarà più complessa, per quanto estremamente utile. Si sta pensando, in tal senso, a robot intelligenti in grado di dare risposte autonome in termini di movimento o procedure da eseguire, integrati con complessi algoritmi di AI a riconoscimento vocale e a sensori che restituiscano la sensibilità tattile.
Tutti passaggi evidentemente molto complessi, ma fondamentali da compiere.

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