È un dato di fatto: la digitalizzazione delle strutture del settore sanitario ha comportato una notevole evoluzione nel rapporto con i pazienti. Infatti, da una parte il ricorso al digitale intende supportare i medici per consentirgli di poter dedicare più tempo ai malati e meno alla burocrazia, avendo a disposizione strumenti più efficaci per la diagnostica e la cura; dall’altra parte vuole invece favorire chi deve prenotare visite o accertamenti diagnostici, facilitando il contatto con la struttura sanitaria. Gli intenti sono davvero rimarchevoli, purtroppo, però, troppo spesso i risultati non rispecchiano le aspettative e i pazienti si trovano a vivere una user experience molto deludente.
I motivi possono essere molteplici, ma c’è il modo di scoprire quali sono e, quindi, di trovare una soluzione per migliorare il servizio. Per sapere come fare, abbiamo chiesto il contributo di un esperto come Benedetto Lamacchia, strategic partner di UNGUESS, spin-off del Politecnico di Milano che aiuta le imprese a ottimizzare l’esperienza utente. E aumentando la soddisfazione dei pazienti, si migliorano anche i risultati di business.
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L’approccio umano-centrico e olistico
“In una user experience, ci sono fattori importanti in generale, come l’intuitività e la facilità di fruizione” – afferma Lamacchia -. Però, nel caso specifico della Sanità, assume grande rilevanza la sicurezza percepita, perché c’è una condivisione di informazioni sensibili. Inoltre, rispetto alla media delle esperienze digitali, è di particolare rilievo l’aspetto informativo: si deve avere la conferma che il processo che si sta seguendo sia quello corretto. D’altra parte, questo bisogno di rassicurazione è tipico anche dei touchpoint tradizionali tra personale sanitario e paziente, per via dell’alta asimmetria informativa che sussiste nella relazione”.
Sicuramente, poi, premia un approccio più umano-centrico piuttosto che cliente-centrico. Spesso, per esempio, uno dei problemi che sorgono nel mondo sanitario è pensare che ogni touchpoint sia un’entità a sé stante. Quindi, la gestione del canale digitale segue una strada che è diversa e autonoma rispetto, per esempio, a quella del desk fisico presso il centro medico e anche a quella del canale telefonico. “Questo è sbagliato perché, mentre per l’azienda sanitaria ogni touchpoint può rappresentare una specifica funzione, per il paziente l’interlocutore è unico e, quindi, si aspetta coerenza e il mantenimento di precisi standard – sostiene Lamacchia -. È premiante avere un approccio olistico all’esperienza digitale considerata come parte di un tutto. Questo include anche l’aspetto accessibilità. Non basta spiegare bene o essere delicati, si devono anche avere un sito o un’applicazione che siano accessibili a persone con disabilità o in età avanzata”.
Il ruolo del PNRR e il rischio di una modernizzazione puramente tecnica
Purtroppo, fa notare Lamacchia, l’approccio olistico è più facile trovarlo nel settore privato. Il settore pubblico si scontra con un forte accentramento: “Questo fa sì che i processi di ammodernamento dell’infrastruttura digitale siano particolarmente lenti e farraginosi – precisa Lamacchia – e molto spesso guidati da criteri che non sono tanto centrati sul paziente, quanto su direttive del Governo centrale o su standard qualitativi lontani dalle aspettative del paziente stesso”.
In questo senso, una spinta potrebbe arrivare dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Tuttavia, Lamacchia si mostra piuttosto cauto, perché “è vero che anche il settore della Sanità sta risentendo in maniera positiva dei fondi, ma li saprà sfruttare al meglio? In altre parole, ci sono i team e le professionalità giusti per eseguire in modo adeguato la transizione digitale all’interno delle realtà ospedaliere o delle Asl? In più, l’approccio tenuto è effettivamente paziente-centrico oppure ancora una volta si punta a un’attività di modernizzazione puramente tecnica che potrebbe portare grosse frizioni in termini di usabilità? C’è un tema di professionalità e c’è un tema di sensibilità: nessuno dei due può essere affrontato solo con i soldi. E il PNRR porta solo soldi”.
User experience in Sanità, scoprire i punti forti e deboli di un servizio
Dalle parole di Lamacchia, appare evidente che il punto chiave di un progetto del mondo sanitario deve porre al centro il paziente e far sì che tale paziente possa raggiungere facilmente i risultati attesi attraverso una user experience semplice. Un risultato, questo, che può essere ottenuto analizzando in dettaglio il servizio offerto, per evidenziare pregi e difetti.
Un modo può essere effettuare dei test e ricorrere agli analytics per valutare i dati raccolti: “Così facendo si ha una visione quantitativa delle performance – dichiara Lamacchia –. Per esempio, nel caso di un sito Internet si può scoprire quante pagine in media visitano le persone, quanto si fermano o anche dove muovono il mouse. Si può però andare oltre e avere informazioni più efficaci effettuando un crowdtesting. Gli analytics possono stabilire il what, ovvero cosa sta succedendo, il crowdtesting può dire il why, cioè perché sta accadendo”.
Questo risultato viene raggiunto coinvolgendo le user personas, ossia persone in target con il servizio digitale e a cui viene chiesto di visitare tale sito web. Dal loro comportamento, sono ricavate le indicazioni inerenti ai motivi per cui sono visitate certe pagine più di altre o perché sono compiute determinate azioni, individuando quindi quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi. Così si può, per esempio, stabilire il motivo per cui tanti pazienti non giungono a completare una prenotazione, non possono caricare dei documenti o non riescono a cambiare l’orario di un appuntamento.
L’elemento strategico del crowdtesting per testare la UX dei servizi digitali
Le user personas sono l’elemento strategico del crowdtesting. Si tratta di persone profilate e selezionate all’interno di una community in modo che siano in target con un servizio, ma che non hanno nessuna competenza tecnica. A queste persone viene richiesto di comportarsi come se stessero eseguendo un’attività “reale”, per esempio di registrazione a un sito o di prenotazione di una visita. L’unico presupposto è che devono seguire un percorso suggerito, operando però dall’ambiente preferito (che sia da mobile sul divano di casa o dal computer dell’ufficio), in un momento scelto da loro. “Così facendo – osserva Lamacchia – viene eliminata quell’ansia sociale che deriva dall’essere in un luogo non familiare e osservati da un ricercatore: le persone agiscono in modo spontaneo, parlando ad alta voce secondo la metodologia del thinking aloud. I video ottenuti sono analizzati dai nostri ricercatori. Dalle interazioni delle persone, da quello che dicono e anche dai loro movimenti emergono le frizioni e quindi le risposte per migliorare l’esperienza utente”.
Il caso di Reale Mutua
Un esempio pratico del crowdtesting arriva da un progetto seguito da UNGUESS per Reale Mutua. L’obiettivo era verificare eventuali difficoltà nell’usabilità, incoerenze e dubbi che potevano sorgere nell’utilizzo di VirtualHospital.blue, un’iniziativa nata all’interno di Reale Lab 1828 e diventata oggi uno dei principali asset del percorso che Blue Assistance ha intrapreso per migliorare la Customer Satisfaction dei servizi di supporto alla persona. “Ci siamo avvalsi del crowdtesting – spiega Lamacchia – per capire se un approccio così innovativo, un canale così fuori dagli schemi avrebbe potuto essere compreso e apprezzato da tutti. E anche se fosse stato il caso di stabilire come migliorare gli aspetti che mostravano carenze, incoerenze e che portavano a frizioni nell’usabilità. A tal fine, abbiamo coinvolto persone che potevano essere in target con l’iniziativa e che avrebbero potuto accedere spontaneamente al servizio”.
“Abbiamo eseguito una classica attività di user experience optimization – aggiunge Lamacchia –, un test di usabilità in modalità asincrona. Sono così emersi diversi consigli per il miglioramento del servizio. Consigli che, va sottolineato, sono legati a obiettivi di business. Questo è un aspetto molto importante: il nostro scopo non è semplicemente permettere di creare prodotti senza frizioni, dove le persone trovano esattamente ciò che si aspettano. Il fine è che il prodotto o il servizio siano il più possibile fruibili, che ci siano più registrazioni e accessi possibili. In altre parole, che l’ottimizzazione permetta ritorni in termini di business direttamente misurabili”.
Le grandi opportunità della digitalizzazione per la user experience in Sanità
La Sanità ha storicamente mostrato difficoltà nel digitalizzare i suoi servizi. “Tuttavia, anche in ambito sanitario, sempre più spesso si parla di Intelligenza Artificiale e si usano strumenti innovativi” conclude Lamacchia. “Si impiegano apparecchi o si avviano o si modernizzano servizi che richiedono un nuovo approccio con i pazienti. Approccio che va affinato per poter avere un efficace contatto umano e, quindi, una user experience in linea con le aspettative. Oggi, grazie alla digitalizzazione si aprono grandi opportunità, che possono portare un importante vantaggio competitivo. E in questo un ruolo fondamentale lo può rivestire uno strumento come il crowdtesting”.
Contributo editoriale sviluppato in collaborazione con Unguess