Da anni, ormai, la sanità italiana è chiamata a confrontarsi con una sfida cruciale: spostare il baricentro dall’ospedale al territorio.
La pandemia ha reso evidente quanto sia fragile un sistema che concentra gran parte delle risorse sull’assistenza ospedaliera, lasciando scoperte le reti di prossimità.
Proprio da questa esigenza, come noto, nasce la riforma disegnata dal Dm 77/2022, con un obiettivo preciso: creare una rete capillare di strutture territoriali in grado di garantire cure tempestive, presa in carico continuativa e supporto integrato ai cittadini, in particolare ai pazienti cronici e fragili.
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Case della Comunità, Ospedali di Comunità e COT
Le Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità e le Centrali Operative Territoriali (COT), i tre pilastri di questo nuovo modello, sono stati ideati con queste finalità:
- Case della Comunità: pensate come “porte d’ingresso” al sistema sanitario, dovrebbero offrire servizi di prevenzione, assistenza medica e infermieristica, oltre a funzioni di integrazione con il sociale. Qui il cittadino dovrebbe trovare un punto di riferimento stabile, capace di ridurre accessi impropri al pronto soccorso e di garantire continuità nelle cure.
- Ospedali di Comunità: concepiti come strutture intermedie, forniscono degenza a bassa intensità clinica. Sono destinati soprattutto a pazienti cronici o reduci da eventi acuti che non necessitano più di cure ospedaliere complesse, ma non sono ancora pronti per il rientro a domicilio. Il vantaggio è duplice: migliorare l’assistenza al paziente e decongestionare gli ospedali.
- Centrali Operative Territoriali (COT): rappresentano la “regia digitale” della rete, coordinando servizi sanitari, sociosanitari e sociali. Grazie a strumenti informatici e telemedicina, consentono di monitorare i pazienti, facilitare la comunicazione tra i diversi attori e attivare rapidamente i percorsi assistenziali più appropriati.
La promessa della sanità territoriale è chiara: più vicinanza al cittadino, più equità tra aree urbane e periferiche, più sostenibilità per il sistema sanitario.
Non si tratta solo di nuove mura o tecnologie, ma di un cambio di paradigma: dalla logica dell’emergenza a quella della continuità, dalla centralità dell’ospedale a quella dei servizi diffusi sul territorio.
In questo quadro, il monitoraggio dell’Agenas diventa uno strumento indispensabile per capire quanto siamo vicini a questo traguardo e dove, invece, i ritardi rischiano di compromettere gli obiettivi fissati anche a livello europeo.
E, purtroppo, i numeri ci dicono che le cose non vanno per nulla bene.
Sanità territoriale, il report Agenas: Case della Comunità ferme al 38%, personale quasi assente. Al Sud ritardi drammatici
La riforma dell’assistenza territoriale segna ancora il passo. È quanto emerge dal monitoraggio di Agenas sull’attuazione del Dm 77/2022 nel primo semestre 2025, che mette in luce ritardi significativi nonostante i fondi del PNRR e le risorse regionali già stanziate.
Ecco i principali numeri e le evidenze emerse dal Report Agenas.
Case della Comunità. Su 1.723 strutture programmate, ne risultano attive solo 660, pari al 38%. Ma il dato più allarmante riguarda la piena operatività: solo 46 Case – meno del 3% – garantiscono i servizi obbligatori con medici e infermieri presenti secondo gli standard (h24 negli hub, 12 ore negli spoke). In altre 172 strutture i servizi ci sono, ma senza copertura sanitaria di base. La distribuzione è profondamente disomogenea: Lombardia ed Emilia-Romagna guidano, mentre in Abruzzo, Campania, Basilicata e PA Bolzano non si registra alcuna attivazione.

Ospedali di Comunità. Ancora più indietro la rete di degenza intermedia: 153 strutture attive su 592 previste, circa il 25%. Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna mostrano qualche progresso, ma in molte Regioni – Basilicata, Calabria, Marche, Valle d’Aosta – i progetti restano fermi.

Centrali Operative Territoriali (COT). In controtendenza, queste strutture di coordinamento hanno di fatto raggiunto gli obiettivi: 638 attive su 651, di cui 480 già certificate a livello comunitario. Un traguardo che conferma il ruolo strategico delle COT nella regia della sanità digitale in Italia e nella presa in carico integrata dei pazienti.

Il quadro complessivo restituisce una sanità territoriale che fatica a concretizzarsi, con forti squilibri Nord-Sud e con la vera criticità che resta la carenza di personale medico e infermieristico. Senza risolvere questo nodo, il rischio è che le nuove infrastrutture rimangano contenitori vuoti, incapaci di rispondere alla domanda di prossimità e continuità assistenziale che ha motivato la riforma.