One Health è un approccio strategico e operativo – riconosciuto a livello internazionale da enti quali OMS, FAO, OIE e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) – secondo cui la salute dell’uomo, degli animali e degli ecosistemi è profondamente interconnessa.
Non si tratta più di considerare le singole aree della Sanità in maniera separata, ma di riconoscere che una crisi sanitaria può avere origini e sviluppi intersettoriali: ciò che colpisce l’ambiente può impattare l’animale e poi l’uomo – e viceversa.
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Dalla One Medicine alla One Health
Alla One Health – approccio ormai imprescindibile nella comprensione e nella gestione della salute pubblica in epoca globale – è stato dedicato un evento istituzionale – tenutosi presso la Sala ISMA del Senato della Repubblica Italiana – promosso dall’Associazione Italiana di Sanità Digitale e Telemedicina (AiSDeT).
Al centro del dibattito “Dalla One Medicine alla One Health. Azioni e strumenti innovativi per la prevenzione del rischio sanitario e per la salute globale”, l’urgente necessità di politiche sanitarie integrate capaci di rispondere alle nuove minacce emergenti, come pandemie zoonotiche, antibiotico-resistenza, infezioni correlate all’assistenza (ICA), cambiamenti climatici e degrado degli ecosistemi naturali.
One Health e interconnessione ambientale: ecosistemi degradati e malattie emergenti
Uno dei concetti cardine emersi durante l’incontro è che non può esserci salute pubblica senza salute ambientale. Il degrado degli ecosistemi, la deforestazione, l’agricoltura intensiva, il cambiamento climatico e l’urbanizzazione selvaggia hanno aumentato la probabilità di contatto tra esseri umani e fauna selvatica, facilitando il passaggio di patogeni tra specie (spillover zoonotico). Più del 70% delle malattie infettive emergenti ha origine animale: SARS, MERS, Ebola, Zika, Influenza aviaria e COVID-19 sono solo alcuni esempi.
Le recenti crisi sanitarie globali hanno reso tangibile questa interconnessione. La pandemia da COVID-19, verosimilmente originata da un virus trasmesso dagli animali all’uomo (spillover), ha evidenziato le debolezze strutturali di un approccio sanitario troppo compartimentato. Così come l’emergere e il diffondersi globale della resistenza antimicrobica (AMR) ha messo in luce quanto le pratiche agricole, veterinarie e umane debbano essere analizzate e regolate in sinergia.
In parallelo, il concetto di “spillback” – ovvero il passaggio inverso di patogeni dall’uomo agli animali – sta diventando un’area di crescente interesse. Questo circolo bidirezionale rischia di mantenere attivi focolai endemici in serbatoi animali, rendendo più difficile il controllo e l’eradicazione di malattie potenzialmente pandemiche.
L’antibiotico-resistenza (AMR): una pandemia silenziosa
Uno degli aspetti più preoccupanti dell’attuale scenario sanitario globale è rappresentato dalla crescente resistenza antimicrobica. Ogni anno, secondo i dati dell’OMS, l’AMR causa più di 1,2 milioni di morti a livello globale e si stima che nel 2050 potrebbe provocare fino a 10 milioni di decessi l’anno se non si interverrà con urgenza.
La resistenza agli antibiotici è un fenomeno multifattoriale: è legata all’abuso e all’uso scorretto di antimicrobici in ambito umano, ma anche – e soprattutto – in ambito veterinario e agricolo. Circa il 70% del consumo globale di antibiotici è destinato agli allevamenti, dove viene spesso impiegato non per curare malattie ma per promuovere la crescita degli animali o come misura preventiva indiscriminata.
Questa pratica espone batteri animali alla selezione antibiotica, favorendo la nascita e la diffusione di superbatteri resistenti, capaci di trasferire geni di resistenza anche a patogeni umani.
Le infezioni ospedaliere, le infezioni da batteri multiresistenti, le infezioni post-chirurgiche e le sepsi sono tutte in aumento e sempre più difficili da trattare.
La stewardship antibiotica: un’azione coordinata
Nel corso dell’evento, è stata ribadita la centralità delle politiche di stewardship antibiotica, programmi istituzionali volti a promuovere un uso più razionale e controllato degli antibiotici in tutti i contesti – ospedaliero, territoriale, veterinario e agricolo. L’implementazione di tali programmi richiede investimenti in formazione, tecnologia, tracciabilità, monitoraggio e sorveglianza microbiologica.
L’Italia, in linea con il Piano d’Azione Globale promosso dall’OMS, ha adottato un Piano Nazionale di Contrasto all’AMR, ma la sua attuazione risulta ancora disomogenea a livello regionale. Il coinvolgimento di medici, farmacisti, veterinari, amministratori locali e cittadini è cruciale per rendere efficaci queste strategie.
Le infezioni correlate all’assistenza (ICA): un problema sistemico
Altro tema affrontato con forza durante l’incontro riguarda le infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA), ossia infezioni che si sviluppano durante o a seguito di cure mediche. Queste infezioni, spesso sostenute da batteri multiresistenti, rappresentano una delle principali cause di morbilità, mortalità e prolungamento dei ricoveri ospedalieri.
Secondo l’ECDC, in Europa, circa 4 milioni di pazienti contraggono ogni anno un’infezione ICA. Le misure di prevenzione – igiene delle mani, isolamento, controllo degli accessi, riduzione dell’uso di cateteri – sono ben conosciute, ma spesso non pienamente attuate. Investire nella formazione del personale sanitario e nella cultura della sicurezza è essenziale.
Digital Health e AI leve strategiche per implementare la One Health
Un fronte emergente, ampiamente discusso in seno al convegno, è l’utilizzo delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale (AI) per abilitare un’implementazione efficace e sostenibile del modello One Health.
Grazie ai big data sanitari, ai sistemi di sorveglianza digitale e alle piattaforme di interscambio informativo tra settori sanitari, è possibile prevedere, tracciare e contenere eventi epidemici in tempo reale.
L’AI può supportare la diagnosi precoce di zoonosi, ottimizzare l’uso degli antibiotici in base al profilo microbiologico dei pazienti, prevedere pattern di resistenza, modellare scenari epidemiologici e migliorare l’allocazione delle risorse.
Tuttavia, per trarre pieno vantaggio da queste innovazioni, è necessario colmare i divari digitali tra regioni, investire in interoperabilità dei dati e dei sistemi informativi e formare i professionisti alla lettura critica dei dati.
Per una vera One Health occorrono governance multilivello e partecipazione intersettoriale
L’approccio One Health non è solo un insieme di buone pratiche, ma un cambio di mentalità, che deve riflettersi nelle politiche pubbliche, nei modelli di finanziamento, nei percorsi formativi universitari e professionali.
Uno dei messaggi chiave emersi durante il convegno è la necessità di una governance multilivello e intersettoriale, capace di unire attori istituzionali, comunità scientifica, industria, cittadini e territori.
È stata sottolineata la centralità del livello locale: Comuni, ASL, aziende agricole e scuole possono – e devono – diventare protagonisti nella promozione della Salute attraverso iniziative di monitoraggio ambientale, sensibilizzazione, prevenzione e promozione dell’igiene. Ma serve anche un coordinamento centrale forte, capace di indirizzare e armonizzare gli sforzi.
One Health: verso una nuova cittadinanza sanitaria e ambientale
Il concetto di One Health implica anche una nuova consapevolezza civica. Ogni cittadino è chiamato a riflettere sul proprio ruolo nella tutela della salute collettiva: attraverso comportamenti sostenibili, uso responsabile dei farmaci, riduzione dell’impatto ambientale, rispetto degli ecosistemi naturali e supporto al progresso della ricerca scientifica.
Solo una cultura della salute integrata potrà garantire la resilienza delle società future. Come sottolineato in chiusura, è tempo di superare la frammentazione disciplinare e costruire una visione sistemica: il benessere umano non è separabile dal benessere del pianeta.