La sanità digitale sta attraversando una fase di profonda trasformazione in cui l’integrazione tra dati, tecnologie di monitoraggio e intelligenza artificiale ridisegnano le modalità di diagnosi, cura e prevenzione.
In questo scenario, i digital biomakers rappresentano uno dei pilastri più promettenti della sanità data-driven: segnali digitali capaci di tradurre parametri fisiologici, comportamentali o ambientali in informazioni clinicamente rilevanti.
Questa evoluzione si inserisce nel passaggio da una medicina reattiva a una medicina predittiva e personalizzata.
L’obiettivo è costruire un ecosistema in cui il dato, raccolto in modo continuo e contestuale, non serva solo per descrivere lo stato di salute, ma diventi uno strumento per anticipare il rischio, migliorare il monitoraggio terapeutico e accelerare la ricerca clinica.
In tal senso, i digital biomakers oggi non sono più semplici sensori digitali o metriche derivate: sono sempre più il punto di convergenza tra tecnologia, analisi dei dati e scienza medica.
Non a caso, si stima (ResearchAndMarkets) che il mercato globale dei digital biomakers crescerà dai 5,6 miliardi di dollari del 2025 ai 35,8 miliardi di dollari entro il 2035, con un CAGR del 18,48%.
Indice degli argomenti
Cosa sono i digital biomakers
Con il termine digital biomakers si indicano indicatori misurabili e oggettivi di processi biologici o fisiologici ottenuti attraverso strumenti digitali.
A differenza dei biomarcatori tradizionali – come proteine, metaboliti o variabili molecolari misurate in laboratorio – i digital biomakers derivano da dispositivi connessi, wearable, smartphone, sensori ambientali o piattaforme di monitoraggio remoto.
Si tratta di segnali digitali che possono essere continui o intermittenti, attivi o passivi.
Ad esempio, la frequenza cardiaca rilevata da uno smartwatch, la variabilità del tono della voce in un’app di monitoraggio cognitivo o i pattern di movimento registrati da un accelerometro possono costituire digital biomakers.
Il loro valore clinico non risiede nella singola misura, ma nella capacità di correlare tali dati con outcome clinici significativi, attraverso modelli predittivi validati scientificamente.
I requisiti fondamentali
Per essere riconosciuto come digital biomaker, un indicatore deve soddisfare alcuni requisiti fondamentali. Tra questi:
- Affidabilità della misurazione digitale, verificata attraverso protocolli di validazione tecnica e clinica;
- Riproducibilità dei risultati in contesti e popolazioni differenti;
- Sensibilità e specificità nel correlarsi con stati patologici o risposte terapeutiche;
- Compliance normativa, soprattutto in termini di privacy e sicurezza del dato sanitario.
Questi elementi rendono il digital biomaker una vera e propria estensione del concetto classico di biomarcatore, ma con un potenziale enormemente superiore grazie alla continuità e granularità della misurazione digitale.
Principali caratteristiche e funzioni
I digital biomakers possiedono alcune caratteristiche distintive che li rendono strumenti di grande rilievonel contesto della sanità digitale. Tra queste:
- Continuità del dato: i sensori digitali raccolgono informazioni in modo costante, superando i limiti delle misurazioni puntuali in laboratorio. Ciò consente di individuare pattern temporali e variazioni sottili che, altrimenti, resterebbero invisibili;
- Personalizzazione dinamica: i digital biomakers permettono di costruire profili individuali di salute, adattandosi al comportamento, allo stile di vita e alle condizioni ambientali del singolo paziente;
- Integrazione multimodale: combinano dati eterogenei – fisiologici, comportamentali, vocali, motori – creando una visione olistica e contestuale dello stato di salute;
- Scalabilità e accessibilità: grazie all’uso di dispositivi consumer o medicali connessi, i digital biomakers possono essere implementati su larga scala, riducendo costi e tempi di raccolta dati;
- Automazione e intelligenza artificiale: l’elaborazione dei segnali digitali tramite algoritmi di machine learning consente di individuare correlazioni cliniche non evidenti, migliorando accuratezza diagnostica e capacità predittiva.
Queste caratteristiche fanno dei digital biomakers una risorsa chiave non solo per la pratica clinica, ma anche per la ricerca e la gestione della salute pubblica. La loro funzione principale, infatti, è trasformare i dati digitali in evidenza clinica, rendendo possibile una medicina più proattiva e meno invasiva.
Applicazioni e benefici
Le applicazioni dei digital biomakers si estendono lungo tutto il percorso di cura: dalla prevenzione al follow-up, passando per la diagnosi e la gestione terapeutica.
Nel campo della medicina preventiva, i digital biomakers consentono di monitorare continuamente parametri vitali e comportamentali, identificando precocemente segnali di rischio cardiovascolare, metabolico o neurologico. Ad esempio, variazioni nel ritmo del sonno o nella frequenza cardiaca possono anticipare eventi acuti o indicare alterazioni croniche in via di sviluppo.
Nella diagnostica, i digital biomakers sono sempre più spesso utilizzati come strumenti di supporto decisionale, soprattutto in aree ad alta complessità come la neurologia, la psichiatria o l’oncologia. In ambito neurologico, il monitoraggio digitale dei movimenti o della voce può aiutare a identificare precocemente i sintomi della malattia di Parkinson o del declino cognitivo lieve.
Sul piano della terapia e del follow-up, i digital biomakers permettono una gestione remota dei pazienti cronici e una valutazione continua dell’efficacia del trattamento. L’integrazione tra piattaforme di telemedicina, dispositivi wearable e algoritmi predittivi consente di adattare le terapie in tempo reale, migliorando l’aderenza e riducendo i ricoveri.
Tra i benefici principali:
- Riduzione dei costi clinici legati a ospedalizzazioni e visite in presenza;
- Aumento della tempestività diagnostica e della capacità predittiva;
- Migliore esperienza per il paziente, grazie a un monitoraggio non invasivo e continuo;
- Supporto alla ricerca clinica, attraverso l’analisi di grandi volumi di dati real-world.
I digital biomakers, dunque, spostano il baricentro della medicina dal “trattamento dell’evento” alla gestione del rischio, con impatti significativi in termini di efficacia e sostenibilità del sistema sanitario.
I digital biomakers nei clinical trial
L’uso dei digital biomakers nei clinical trial non rappresenta solo una tendenza, ma un’evoluzione metodologica.
I dati digitali consentono di monitorare parametri fisiologici e comportamentali in tempo reale, anche al di fuori dei centri clinici. Ciò riduce la necessità di visite in presenza, aumenta la qualità del dato e consente di ampliare la popolazione arruolata, includendo soggetti geograficamente lontani.
I digital biomakers, inoltre, permettono di trasformare i trial tradizionali in studi decentralizzati in cui i pazienti partecipano da remoto grazie a sensori, app e piattaforme connesse. Questa decentralizzazione migliora l’engagement, riduce i drop-out e consente di raccogliere informazioni contestuali sullo stile di vita, l’ambiente e la risposta terapeutica.
Un vantaggio cruciale è la possibilità di integrare i digital biomakers come surrogate endpoint, cioè indicatori digitali che sostituiscono o affiancano le misurazioni cliniche tradizionali.
Per esempio, nei trial su malattie neurodegenerative, la variazione del tono vocale o del movimento del paziente può rappresentare un biomarcatore digitale dell’efficacia del farmaco, molto prima che i sintomi clinici diventino evidenti.
Questa evoluzione richiede una rigorosa validazione scientifica, ma apre la strada a una nuova generazione di clinical trial digital-first, più rapidi, inclusivi e basati su dati reali.
I digital biomakers per lo sviluppo di nuovi farmaci
Uno degli ambiti chiave di applicazione dei digital biomakers è la ricerca e sviluppo farmaceutico.
Tradizionalmente, la valutazione dell’efficacia di un farmaco si basa su endpoint clinici raccolti in contesti controllati e in tempi limitati. I digital biomakers permettono invece di espandere la finestra di osservazione, fornendo dati oggettivi, continui e contestuali sull’effetto del trattamento nella vita reale.
Durante le fasi di trial clinico, i digital biomakers consentono di monitorare l’aderenza alla terapia, le risposte fisiologiche e gli effetti collaterali in modo più preciso rispetto ai questionari soggettivi o alle misurazioni sporadiche. Inoltre, possono identificare sottogruppi di pazienti con pattern di risposta differenti, contribuendo a personalizzare i protocolli e accelerare l’approvazione regolatoria.
Nel drug discovery, i digital biomakers stanno diventando strumenti centrali per l’individuazione di nuovi target terapeutici. Analizzando i big data generati dai dispositivi digitali, è possibile riconoscere correlazioni tra comportamenti e biomarcatori molecolari che suggeriscono nuovi meccanismi fisiopatologici.
Regolatori come FDA e EMA stanno valutando linee guida specifiche per la validazione e l’uso dei biomakers (digitali e non) nei trial clinici e non solo. L’obiettivo è garantire standard di qualità e interoperabilità, affinché questi strumenti possano essere accettati come endpoint digitali ufficiali nella sperimentazione.
In prospettiva, i digital biomakers promettono di ridurre i costi e i tempi di sviluppo dei farmaci, migliorando al contempo la precisione della valutazione terapeutica. È una trasformazione che avvicina sempre di più la ricerca clinica al mondo reale, dove i dati digitali diventano parte integrante del ciclo di innovazione farmaceutica.
Digital biomakers vocali
La voce è una fonte ricchissima di informazioni fisiologiche e neurologiche: variazioni di tono, ritmo, intensità, articolazione o respiro possono rivelare alterazioni cognitive, motorie o emotive.
Attraverso tecniche di speech analysis e machine learning, i segnali vocali vengono trasformati in indicatori digitali quantitativi.
Studi recenti hanno mostrato le potenzialità dei digital biomakers vocali nell’individuare precocemente segni di Parkinson, Alzheimer, depressione maggiore e disturbi respiratori.
In ambito clinico, questi biomarcatori offrono vantaggi significativi:
- Sono non invasivi e facilmente raccolti tramite smartphone o microfoni standard;
- Consentono una raccolta continua e contestuale, anche in ambienti domestici;
- Possono essere integrati in piattaforme di telemonitoraggio e telepsichiatria.
L’adozione di biomakers vocali è favorita dall’AI, che consente di distinguere pattern vocali sottili e correlabili a specifici stati patologici e anche alle emozioni.
Nel medio periodo, i digital biomakers vocali potrebbero diventare uno strumento diagnostico complementare, utile non solo nella clinica ma anche nella sperimentazione farmaceutica e nella valutazione delle terapie digitali.
Intelligenza Artificiale e digital biomakers
L’Intelligenza Artificiale rappresenta spesso il motore invisibile che rende i digital biomakers realmente operativi.
Senza algoritmi di machine learning, deep learning e analisi predittiva, la massa di dati raccolti da sensori e dispositivi rimarrebbe praticamente inerte e priva di significato clinico.
L’AI applicata ai digital biomakers permette infatti di:
- Estrarre pattern complessi dai segnali fisiologici e comportamentali;
- Identificare correlazioni nascoste tra parametri digitali e outcome clinici;
- Costruire modelli predittivi personalizzati, aggiornabili nel tempo;
Un esempio concreto è l’uso di reti neurali convoluzionali per analizzare tracciati ECG, segnali vocali o pattern di movimento in grado di individuare precocemente segni di deterioramento neurologico o scompenso cardiaco.
Inoltre, l’Intelligenza Artificiale consente di combinare più digital biomakers in un unico profilo multidimensionale di salute, integrando dati provenienti da wearable, app e cartelle cliniche elettroniche.
Questo approccio trasforma i digital biomakers in ecosistemi di conoscenza adattiva, in cui ogni nuovo dato contribuisce ad affinare il modello clinico.
Le sfide rimangono: bias algoritmico, explainability, validazione clinica e trasparenza dei modelli. Tuttavia, l’integrazione tra AI e digital biomakers è destinata a costituire la base della sanità predittiva e personalizzata del futuro.
Esempi e ambiti d’applicazione
Alcuni esempi concreti mostrano il potenziale clinico e industriale dei digital biomakers. Tra questi, la loro applicazione nei seguenti ambiti:
- Malattie neurodegenerative: ci sono piattaforme che utilizzano digital biomakers derivati da sensori di movimento e analisi vocale per monitorare la progressione di patologie come Parkinson e Alzheimer. Questi strumenti permettono di identificare micro-variazioni motorie o linguistiche invisibili a una valutazione tradizionale;
- Cardiologia: i wearable di nuova generazione integrano digital biomakers come la variabilità della frequenza cardiaca (HRV) e la saturazione dell’ossigeno per rilevare precocemente aritmie, scompensi o condizioni di stress cronico. Alcuni dispositivi approvati come medical device sono già utilizzati nei programmi di telemonitoraggio;
- Psichiatria digitale: app e sensori passivi analizzano i pattern di digitazione, l’intonazione della voce e la frequenza delle interazioni sociali come digital biomakers di disturbi dell’umore o ansia. Questi parametri, integrati con dati clinici, offrono insight più precisi sulla risposta ai trattamenti;
- Oncologia: nelle terapie oncologiche domiciliari, i digital biomakers derivati da monitoraggio di parametri fisiologici e motori consentono di rilevare precocemente tossicità o effetti avversi, migliorando la gestione del ciclo terapeutico.
Tutti esempi che dimostrano come i digital biomakers stiano diventando una risorsa operativa concreta per clinici, ricercatori e industrie farmaceutiche, superando la fase sperimentale e consolidandosi ormai quali infrastrutture strategiche della sanità digitale.
Prospettive future e sfide da vincere
Nonostante il potenziale, l’adozione su larga scala dei digital biomakers incontra ancora alcune sfide significative.
In primo luogo, la standardizzazione: mancano ancora framework comuni per la validazione clinica, l’interoperabilità e l’interpretabilità dei dati e la definizione degli endpoint digitali.
In secondo luogo, la regolamentazione: l’inquadramento dei digital biomakers tra i software as a medical device richiede percorsi di certificazione complessi e differenziati a livello internazionale.
Altro nodo cruciale è la governance del dato. I digital biomakers generano grandi quantità di informazioni sensibili, che devono essere gestite secondo principi di sicurezza, trasparenza e consenso informato. La protezione della privacy e la fiducia degli utenti rappresentano condizioni indispensabili per la sostenibilità del modello.
Sul piano tecnologico, la qualità del dato rimane una variabile critica. L’affidabilità dei sensori, la gestione delle variabili ambientali e l’accuratezza degli algoritmi di analisi sono elementi che influenzano direttamente la validità clinica dei biomarcatori digitali.
Le prospettive di sviluppo, tuttavia, sono estremamente favorevoli. L’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa in sanità, la diffusione delle infrastrutture di edge computing e il consolidamento delle piattaforme interoperabili renderanno i digital biomakers sempre più precisi e integrabili nei sistemi sanitari. In futuro, questi strumenti potranno costituire la base di ecosistemi predittivi, in cui la salute del cittadino è monitorata e gestita attraverso modelli di intelligenza collettiva del dato.
L’obiettivo non è solo ottimizzare la cura, ma ridefinire il concetto stesso di salute: da stato statico a flusso dinamico di informazioni digitali capaci di anticipare e guidare le decisioni cliniche.