Allo schiudersi del 2025, nel mezzo del cammino temporale ormai avanzato dell’itinerario, a tratti tortuoso, di attuazione del PNRR, ricorrono una serie di date, scadenze, piani e programmi, milestones e target, che dovranno vedere, o almeno si spera, la luce definitiva e operativa nel 2026, nell’ottica del variegato e ampio ventaglio di previsioni poste, con l’occasione dell’uscita dalla pandemia da Covid 19, con la strutturazione del New Generation EU, del PNRR e quindi, nello specifico, della nostra italica Missione 6 Salute.
A tanto si correla intimamente tutto l’ambito più allargato di precondizioni e riforme necessarie, preliminari, specie per quanto agli investimenti in tecnologie, autostrade informatiche, interoperabilità dei sistemi, connessioni digitali e veloci e, certamente, anche l’avvento dell’era dell’Intelligenza Artificiale, nelle sue ancora, in fieri, multiformi modalità, approcci, possibili utilizzi e definizioni di ambiti, per applicazioni pratiche e interpretazioni culturali ed etiche.
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Il Digitale in Sanità non è solo una fase evolutiva
Ampliando quindi l’angolazione di approccio, diradando le ombre che, superando il mito della caverna di Platone, obbligano l’umanità a guardare oltre, si evita l’errore di ritenere che ad oggi si protenda verso una cultura del digitale come mero momento di superamento e di evoluzione rispetto a quella analogica, spesso ormai svilita. Invero, l’era del digitale, che caratterizza ormai il nostro presente, è certamente caratterizzata da una incessante dinamica evolutiva e quindi dalla sempre maggiore pervasività delle tecnologie e degli approcci digitali, non solo e ben oltre il mondo sanitario; ma l’avvento del digitale, tuttavia, non è solo semplicisticamente una fase evolutiva, ma piuttosto una nuova condizione anche antropologica dell’essere, nel contesto delle vicende umane, e impone riflessioni profonde e consapevoli.
Occorre quindi superare preliminarmente l’aspetto terminologico, relativo agli etimi e alla genesi sterile delle due parole, laddove per analogico si intenda un’idea di continuità rispetto al carattere a salti, e a “quanti”, del digitale.
Piuttosto, ad oggi, nell’immaginario e nel senso comune, tutto ciò che è analogico afferisce al passato, al vecchio, quindi all’obsoleto, nel mentre modernità, innovatività e rapidità ed efficienza, riconducono all’idea di digitale: come tutte le frettolose propensioni in avanti, il rischio di sbilanciarsi oltremodo è forte!
Ma il digitale è ben altro e ben più: non solo una questione di tecnologia, o il frutto evolutivo di una fase tecnica, ma un nitido segnale del progresso della civiltà umana, che quindi implica un nuovo approccio culturale, denso di significazioni, nuove angolazioni di pensiero, che richiamano come necessaria una notevole dose di apertura mentale al nuovo, seguita da consapevolezza e quindi capacità di fruire dell’amplissimo ventaglio di possibilità, strumenti e quindi metodiche e strategie.
La sfida dell’Intelligenza Artificiale
E poi c’è, ineludibilmente, il “nuovo mondo” dell’AI, che rende palese come tutte le cose, le informazioni, i dati, presenti nell’ecosistema universale, siano correlati, connessi, interagenti, alla portata, laddove un algoritmo, dapprima costituito dall’intreccio di sforzi di sinapsi della sola e mera mente umana, sia in grado, rapidamente, e con impareggiabile precisione, di coglierne e restituire le essenze e le potenzialità informative e quindi pratiche.
In merito, invero, ancora lontani da modelli di AI senziente – per quanto il test di Turing ormai paia obsoleto – resta nodale e preminente la capacità, tutta umana, di conseguire e capitalizzare idonea conoscenza, che si fa competenza e che, quindi, definisce e struttura un perimetro di esperienza su cui deve ancorarsi il porsi e proporsi come punto di riferimento, come delineatore di scenari, piani, programmi e soluzioni.
La complessità come valore
Già ai suoi tempi, Einstein richiamava la predominanza, di pensiero, della capacità umana di sapersi porre le giuste domande, rispetto a una tecnologia che pur immaginava sarebbe stata, nel tempo, sempre più in grado di dare tutte, o quasi, le risposte.
Il tema – come argomentato ampiamente nel libro “Scenari e modelli di governo, organizzazione e management del sistema sanitario italiano, tra pandemia e PNRR”, di cui chi scrive è autore, ndr.) – resta l’approccio alla “complessità” come valore, ponendosi nella giusta ottica, indossando quelle che Stacey definiva le lenti della complessità.
Univoci elementi induttivi di enorme complessità si colgono in ogni aspetto della vicenda sanitaria italiana, come substrato di fatto alla Sanità digitale: dal rapporto non organico e sinergico Stato-Regioni, alla disomogeneità dei governi sanitari regionali, alla relativa autonoma gestione differenziata, ad esempio, rispetto all’assicurazione omogenea dei LEA, alla disparità sia di livello socioeconomico che demografico nell’accesso ai servizi, ai tempi elevati rispetto alle liste di attesa, alle correlate abnormi necessità di migrazione sanitaria in mobilità passiva, alle differenziazioni nelle piattaforme centralizzate di spesa, alla mancata armonizzazione dei sistemi di gestione dei flussi dei dati sanitari, spesso non dialoganti tra territori, alla strutturazione non omogenea nel governo dell’offerta nei singoli piani sanitari regionali, alle differenziazioni di tariffe e funzioni assistenziali, alle del tutto peculiari organizzazioni e dimensionamenti territoriali rispetto ai parametri del DM 70/2015, tra deospedalizzazioni e ricerche di appropriatezza spesso prive di idonea sinergia ospedale-territorio, e via dicendo.
Negli anni più recenti, inoltre, la chimera del paradigma Sanità=Sicurezza, con la spesa sanitaria intesa come investimento, molto declinato durante la pandemia, ha visto poi gradualmente perdere impatto ed efficacia, senza vedere attuati modelli, impianti e programmi di riassetto, riorganizzazione e potenziamento dei sistemi sanitari regionali.
Sanità digitale sì, ma con uno status quo a pieno regime
Ed è di certo sul tema degli attuali 20 sistemi regionali, figli della L. Cost 3/2001 di riforma del Titolo V, e quindi della L. 42/2009 sul federalismo fiscale, che poggiano molte delle maggiori criticità di settore, rispetto anche alla possibile cantierabilità efficace di pianificazioni coordinate Stato-Regioni verso l’avvento di una sanità digitale italiana. Di tutta evidenza, in tal senso, come, e ben prima di rendere “digitale” un universo “analogico”, è necessario che lo status quo precedente funzioni adeguatamente, sia a pieno regime, abbia una sua logica precipua, con profili ben delineati, che, al netto della totale novità e modernità di nuovi strumenti e metodi (digital innovation, connected care, telemedicina, FSE, CCE, imaging clinico, realtà aumentata, strumenti di supporto a diagnosi predittive, chirurgia robotica, app per la salute, terapie digitali DTx, AI, machine learning, big data analytics, nuova tessera sanitaria, ricetta elettronica, dematerializzazione del cartaceo e via dicendo) e possa costituire quel substrato e quella piattaforma sistemica su cui sperimentare soluzioni, testare esperienze, tipo sandbox, per giungere a definire poi, su più ampia scala, nuovi paradigmi di offerta di prestazioni di assistenza sanitaria e presa in carico.
Sanità digitale e sostenibilità della spesa pubblica
Per quanto molto sospinto dai fondi del PNRR, il progetto di sanità digitale nazionale risentirà, per quanto alle prospettive future, e al freno posto dalle criticità endogene esistenti, di aspetti di sostenibilità della spesa pubblica, e in tal senso, se gli andamenti geopolitici mondiali avevano già impattato con un forte incremento dei prezzi energetici, i fattori nazionali, come i rinnovi contrattuali e l’innalzamento necessario delle risorse umane nel settore sanitario, hanno contribuito a un livellamento verso l’alto dei costi sanitari, in termini più strutturali.
Altro elemento riguarda l’avvento, con il 2024, del nuovo Patto di Stabilità europeo, dopo il blocco per il Covid, con i suoi vincoli sempre più stringenti, che ha vieppiù reso necessario adottare, per l’Italia, il Piano Strutturale di Bilancio 2025/2029 del settembre 2024, con impatti nel senso del contenimento degli stanziamenti di spesa per il Fondo Sanitario Nazionale standard, pur assicurando, per il 2025, la successiva Legge di Bilancio, la somma di 136 miliardi di euro (140,6 per il 2026 e 141,1 per il 2027) a fronte di una spesa sanitaria pubblica di circa 132 miliardi per il 2023.
Dette cifre vanno lette nella logica di quella che vado ormai definendo (dai primordi del federalismo fiscale) piuttosto di “spesa possibile” più che di “spesa standard”, quindi da valutare in relazione a quanto sia effettivamente possibile stanziare sul bilancio nazionale di spesa pubblica, in una logica politica di necessario priority setting (pur potendosi invero rivedere e ridimensionare stanziamenti assicurati invece per ambiti non con la stessa strategicità o funzione sociale).
Aspetti macroeconomici correlati, come bassa crescita, disavanzi regionali e indebitamento nazionale, che ha sforato i 3.000 miliardi di euro – con ben 78 miliardi per interessi nel 2023 – rendono davvero arduo impattare sul rapporto spesa sanitaria/pil, che, rispetto alla media europea, andrebbe peraltro anche letto in chiave di approccio culturale e valoriale, piuttosto che di meri raffronti di dati comparati.
Un Sistema Sanitario più moderno ed efficace
Tuttavia, come detto, nel nostro Paese ci si è mossi, e sono ormai numerosi gli interventi tecnologici e normativi, sostenuti dal PNRR, volti a dare un volto più moderno ed efficace al nostro Sistema Sanitario.
Le progettualità legate al tema degli investimenti in sanità digitale, e dell’attuazione operativa della Digital Health, scontano, infatti, non tanto aspetti di spesa pubblica, ma piuttosto di capacità di governo e gestione del settore, specie per l’attuazione di misure, piani e programmi pur abbastanza ben congegnati e calendarizzati, ma che incontrano difficoltà operative, di cantierabilità, di effettiva operatività, tanto da dover addirittura indurre la revisione di meccanismi di governo e gestione della P.A. e di spesa, per dare maggiore slancio e azione operativa agli enti territoriali, onde auspicare di velocizzare la spesa pubblica e l’attuazione dei progetti.
La spesa complessiva per la digitalizzazione della Sanità italiana, nel 2022, si è infatti attestata a 1,8 miliardi di euro, con un aumento del 7% rispetto al 2021. Le criticità di settore, tuttavia, frenano l’operatività, come accade per alcune misure nodali del DM 77/2022, mirate al recupero di efficienza e operatività della sanità del territorio, con l’idea di prossimità in testa, tra appropriatezza ed efficacia della presa in carico, oltre della presa in cura , dunque anche con aspetti di rilevanza sociale e non solo sanitaria.
Ne sono esempio: le strutturazioni e allestimenti, specie per le risorse umane, delle Case e Ospedali di Comunità, hub e spoke, che grande efficacia avrebbero a vantaggio del recupero di qualità assistenziale dei territori, peraltro ove validamente sostenuti da sistemi e piattaforme digitali e interoperabili; le Centrali Operative Territoriali, la Telemedicina – con le sue varie declinazioni e opzioni diagnostiche, terapeutiche e assistenziali – il Fascicolo Sanitario Elettronico – sempre più fattore di qualità e tempestività assistenziale – e in particolare tutto l’ambito, finalmente da informatizzare e rendere più snello e accessibile, delle Cure Primarie, di competenza dei Distretti delle ASL, che tanto devono assolvere, con le UCA, specie per l’ambito della cronicità, che, per l’invecchiamento della popolazione, costituirà una verosimile pandemia del terzo millennio.
Ancora, a latere, rileva un tema di spesa sanitaria, non pubblica, ma direttamente in capo di cittadini, nella c.d. quota di spesa “Out of pocket”, che grava interamente sui pazienti e le loro famiglie, ben al di fuori degli stanziamenti del SSN, con un incremento del 13% per arrivare alla soglia dei 43 milardi di euro per il 2023, pari a un terzo della spesa sanitaria complessiva, giunta ai quasi 176 miliardi.
Annose problematiche di scenario, quindi, intime al sistema, a fronte di aneli incessanti di modernità della sanità digitale, come fattori da rendere necessariamente congruenti e allineati quanto prima.
Sono esempi positivi fattori come la Strategia per la crescita digitale e il Piano Triennale per informatizzare la PA, volti a strutturare l’ecosistema della sanità digitale, come le stesse progettualità in capo all’Agenas, per l’ormai imminente presentazione della Piattaforma Nazionale di Telemedicina, del prossimo febbraio.
Allo stesso modo, il progetto relativo all’EDS, verso il popolamento a regime di un universo, un ecosistema di dati sanitari nazionale, che dialoghi con quello comunitario, e prima di tutto tenga interrelati e interagenti i sistemi sanitari delle regioni italiane, quindi superando gli steccati di una visione regionalistica della sanità che tende ad apparire obsoleta, per cultura e impianti gestionali, e dunque non rispondente alle sfide che solo come sistema sanitario nazione si è in grado di poter affrontare, pur sempre in un coordinamento di azione sinergica tra Stato e Regioni, con economie di scala sorrette da saldi principi di sussidiarietà.
Auspicabile, più in generale, anche una revisione del frastagliato solco delle competenze concorrenti della L. Cost. 3/2001, che tanti contenziosi ha visto, frenando le virtuose spinte riformiste di cui la sanità ha tanto bisogno.
Allo stesso modo, sul piano generale, molto utile risulterebbe, come fattore di chiarezza anche operativa, l’adozione di un testo unico delle leggi sanitarie, all’esito di così rilevanti integrazioni e modifiche statuali e di devoluzioni dei poteri, dal 1978 ad oggi, con un recupero di centralità di governance statuale almeno per tematiche rilevanti e strategiche come quelle in parola.
Più direttamente, in ambito digitale, la resa dell’onere di debito informativo da parte di tutti gli operatori sanitari, pubblici e privati, rispetto al nuovo FSE, appare un momento evolutivo di grande rilevanza e induttivo di grande potenziale assistenziale, rispetto al quale la Sanità digitale costituisce una base nodale.
A livello di ambiti operativi, sarà anche necessario definire e ultimare uno scenario formativo adeguato che assicuri alle figure degli operatori sanitari tutti la padronanza di nuove competenze e di una cultura digitale più diffusa, che arrivi anche ai cittadini, onde saper cogliere tutte le potenzialità dell’innovazione digitale in sanità.
La Sanità tra Digitale e fascino discreto dell’Analogico
In definitiva, in chiave più globale, cosa accada nel mondo della Sanità digitale a livello mondiale, e cosa invece a livello nostro nazionale, sono cose molto diverse e distinte, per magnitudo, tempi, modalità e soprattutto efficacia. E, se anche recepiamo, in epoca di social, autostrade digitali e villaggio globale, immediatamente i fermenti, i flussi e le innovazioni planetarie in tempo reale, il tempo di metabolizzazione non è purtroppo sempre funzione diretta della velocità di comunicazione.
In tema sanitario, viviamo certamente un problema metabolico a livello istituzionale, nella gestione della cosa pubblica, con una dicotomia che si esplica nel nutrirsi di fonti, dati e informazioni, in modo ormai massivamente “digitale”, per poi recepirli e farli propri, metabolizzarli, sul piano dei programmi e degli effetti, in modo del tutto ancora piuttosto “analogico”.
Occorre rapidamente superare, in una chiave di moderna sinergia tra livelli delle Istituzioni e territori, tra enti, organismi, livelli decisionali e operativi, il perdurante aspetto asintotico insito in un parallelismo critico tra programmazione e attuazione.
Il Digitale aiuterà, ma permane, per intanto, il perdurante fascino discreto, e rassicurante, dell’Analogico.