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PNRR e Sanità: se io fossi un manager… chissà cosa farei

Come stiamo usando i fondi del PNRR in Sanità? Per fare vera innovazione e change management o per mettere le toppe a un Sistema Sanitario Nazionale entropico che ha (ancora) tanta strada da fare? E in tutto ciò, che ruolo sta giocando (e con quali responsabilità e difficoltà) il management sanitario?

Pubblicato il 13 Mar 2023

Massimo Mattone
Massimo Mattone

Direttore Responsabile HEALTHTECH360.it

PNRR-Sanità

Manager, se io fossi un manager, chissà cosa farei…
(I soldi PNRR, in Sanità, così li userei…).

Viene proprio da canticchiarlo, parafrasandolo, il ritornello dello stracanticchiato brano di Lucio Dalla che apre Bugie.
E mai titolo di un album sembra essere più profetico.
Perché, a pensarci un attimo – e a leggere questo  Rapporto OASI – di “bugie”, intese come una evidente “divaricazione tra narrazione ed evidenza”, nel nostro Paese – in particolare nell’utilizzo delle risorse del PNRR in Sanità – sembrano intravedersene davvero tante.

Con una conseguenza, per il futuro della sanità digitale, che chi scrive aveva sottolineato in tempi non sospetti: il manager sanitario e, più in generale, il portatore d’interesse in ambito innovazione e trasformazione digitale della Sanità – pur in un contesto di autonomia crescente – si trova ad operare (brancolare?) in uno scenario difficile, poco chiaro e nel quale troppo spesso l’entropia regna sovrana.

Assieme alla fretta di fare qualcosa. Qualsiasi cosa, pur di non “sprecare” i fondi del PNRR.

PNRR e Sanità: per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?

“Spendere (bene) dei soldi significa investire risorse in innovazione vera, nel restituire valore al sistema salute. Non certo sprecarli in progetti e progettini “tanto per” ideati e presentati in fretta e furia.

Innovare significa saper pensare e respirare futuro.

Avere una vision, seguire delle direttrici precise per convergere verso gli obiettivi. Magari di lungo periodo. Ma chiari. Concreti. E raggiungibili proprio grazie agli investimenti in tecnologie e innovazione.

L’impressione degli addetti ai lavori della salute digitale è che, spesso, chi deve usare le risorse del PNRR non sappia esattamente cosa farsene, come e per cosa utilizzarle.
Perso e disperso in una realtà complessa e più grande di lui nella quale ha enormi difficoltà ad orientarsi.

Non solo non conosce la strada per raggiungere i suoi obiettivi d’innovazione, ma è così preoccupato dal dover accedere in fretta ai fondi che non ricorda (o non sa) nemmeno più in cosa sarebbe importante (e utile) investirli.

Una sorta di Totò che – ritrovatosi assieme a Peppino in una Milano troppo grande per loro – non può far meglio che chiedere al vigile: “Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?”.

PNRR e Sanità, se l’importante è spendere…

Queste considerazioni – a proposito di “fare qualcosa, qualsiasi cosa” con i fondi del PNRR senza chiedersi la reale utilità per la nostra salute di ciò che si stava facendo – le facevo esattamente un anno fa.

Cosa è accaduto da allora?
I soldi del PNRR destinati alla Sanità li stiamo usando bene o li stiamo sprecando?

A quanto pare, non solo ad oggi le cose che ipotizzavo un anno fa non sono cambiate, ma sembrano (ineluttabilmente) in procinto di avverarsi, peraltro nell’indifferenza collettiva.

L’importante è fare, come e con quali risultati è un aspetto che sembra non interessare nessuno”, scrive al proposito l’amico Massimo Mangia, esperto che i nostri lettori conoscono bene per i suoi tanti contributi e approfondimenti pubblicati qui, su HealthTech360, sulle principali tematiche della digital health, ivi incluse quelle relative al corretto utilizzo dei fondi del PNRR in Sanità.

L’obiettivo è spendere e poi rendicontare nei tempi previsti.

I capitolati tecnici degli appalti specifici non contengono alcun criterio né indicatori per misurarne l’impatto e i benefici (…).
Il risultato da raggiungere è il collaudo e poi il rispetto dei livelli di servizio (SLA) che riguardano la fruibilità del software e il suo corretto funzionamento.

Criteri quantitativi sacrosanti ma insufficienti per comprendere se l’investimento effettuato sia davvero utile per il servizio sanitario, i professionisti che vi lavorano, i pazienti.

Quanti progetti che sono stati positivamente collaudati, nel rispetto degli SLA, si sono poi rivelati assolutamente insoddisfacenti per gli utenti e le aziende sanitarie? O privi di utilità? Personalmente ne conosco tanti – osserva Mangia”.

E Massimo ha perfettamente ragione. Ne conosco e ne ho visti tanti anche io di progetti di questo tipo.
Non solo “privi di utilità”. Soprattutto, privi di ciò che abbia un minimo di dignità per essere chiamato innovazione e change management:

“Mi è capitato – in questi giorni convulsi di caccia alle idee per i progetti PNRR – di imbattermi personalmente in progetti la cui ‘innovazione’ consisteva in poco più di un foglio di calcolo in cui inserire dati e al più qualche macro che li ‘elaborava’ per organizzarli in maniera ‘intelligente’ – scrivevo al proposito un anno fa”.

Ma le cose non sono cambiate, purtroppo. Tra una certa indifferenza generale.

Dice bene Massimo, quando osserva come sia un tema che “non sembra riguardare i committenti né chi finanzia i loro progetti.

In mancanza di obiettivi non c’è responsabilizzazione né dei committenti, né dei fornitori, ciascuno per il proprio ruolo.

La logica ‘a cottimo’ con cui sono gestiti questi progetti mal si sposa con l’obiettivo di innovazione che, per essere tale, deve rappresentare un vantaggio per qualcuno”.

Progetti in Sanità finanziati dal PNRR: come misurarne l’efficacia?

Ma come si può (o si dovrebbe) misurare la reale efficacia (e i benefici) dei progetti finanziati con le risorse del PNRR?

Nei progetti finanziati non c’è alcun criterio né indicatori per misurarne l’impatto e i benefici”, scrive Mangia su Linkedin.

“Nella media è purtroppo così – commenta Paolo Colli Franzone –  Healthcare Futurist at IMIS – però molte Regioni stanno adottando modelli di maturità la cui misurazione a inizio e fine progetto servirà per valutare impatto e benefici. Anche stavolta si è comunque persa l’occasione per imporre dall’alto un set standard di misurazioni obbligatorie e uniformi”.

“È il grosso problema del PNRR – gli fa eco Eugenio Santoro – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS – firma abituale di HealthTech360 che i nostri lettori conoscono bene per i suoi tanti contributi sui temi della sanità digitale.

Li vado raccontando da quando il Piano é stato proposto – commenta Santoro.
Il risultato é che avremo soluzioni calate dall’alto che probabilmente non risponderanno appieno ai bisogni e sui quali non sapremo mai il reale impatto ed efficacia. Che può essere misurata, per esempio, facendo studi comparativi rispetto a standard of care, da diversi punti di vista, clinico, innanzitutto, e poi economico e di processo. Nulla di tutto ciò. Peccato”.

E riguardo allo smarrimento e all’entropia che si respira anche nelle direzioni sanitarie a proposito di misurazione dell’efficacia dei progetti del PNRR e di indicatori di risultato, fa riflettere quanto scrive Alessio Cicioni – Dirigente Servizio Informatico e Telecomunicazioni – Azienda USL Umbria 2:

“C’è solo un piccolo problema: il Ministero ha chiesto a fine 2022 di adottare EMRAM di HIMSS come modello di maturità da usare pre e post interventi. Peccato che i progetti noi li abbiamo presentati a Febbraio 2022 senza sapere quali sarebbero stati gli indicatori di risultato. Ora, se i progetti che stiamo facendo non portano significativi incrementi nel punteggio di EMRAM, perché nessuno ci ha detto che saremmo stati valutati su questo, di chi è il problema?”.

Il manager sanitario tra l’incudine e il martello

Già… Di chi è il problema? Bella domanda.

Che fa venire in mente come, di questi tempi, essere un manager sanitario sia una bella sfida, mettiamola così.

Da una parte perché, come abbiamo visto, tutto sembra molto vago e indeterminato (e non solo riguardo alla misurazione dell’efficacia).

Come emerge dal Rapporto OASI, infatti, direttive e piani nazionali – per una serie di ragioni approfondite nel succitato documento – sono spesso molto vaghi, non dettagliati, con indicazioni generiche non dirimenti e non vincolanti per il management sanitario che, in sostanza, si trova ad operare in un sistema a maglie larghe essendo costretto a fare “di testa sua”.

“La maggior parte dei documenti nazionali – si legge nel Rapporto – definiscono la geografia delle infrastrutture, senza in realtà programmare quali servizi erogare, quale personale impiegare, quali obiettivi debbano essere perseguiti. Si tratta di piani largamente indeterminati che lasciano ampia autonomia al management aziendale”.

Autonomia che – di per sé – sarebbe anche una bella sfida da cavalcare per il manager sanitario.
Al quale tutti, però, chiediamo di portare innovazione vera, guardare al futuro, restituire valore a lungo termine al sistema salute.

Di non correre, non andare di fretta, non fare le cose tanto per…

Ma come deve fare il “poveretto” di un manager sanitario se, però, al contempo, le metriche di misurazione dei risultati attraverso cui sarà valutato il suo operato saranno soltanto il rispetto dei vincoli di bilancio e dei tempi d’investimento?

“Le metriche di misurazione dei risultati – si legge, infatti, nel Rapporto – si focalizzano sul rispetto dei vincoli di bilancio e sul rispetto dei tempi di investimento infrastrutturale”.

È come se un CEO chiedesse a un proprio dipendente di ideare, progettare e realizzare un meraviglioso e complesso progetto d’innovazione digitale che impatti sul futuro del settore in cui sarà adoperato.
Tutto fantastico. Un po’ meno, però, se al dipendente il CEO chiedesse di fare tutto ciò con un budget risicato e pure in tempi brevissimi. Dicendogli che il suo operato sarà valutato proprio (e solo) su questi aspetti. O li si coglie, o addio ruolo e progetto…

Ma i vincoli di bilancio e i tempi stretti, si sa, mal si coniugano col respiro della vera innovazione.

E, infatti, nel Rapporto si legge come le metriche di misurazione operino “senza rilevare i processi di innovazione, l’evoluzione delle competenze, gli impatti sul tasso di copertura dei bisogni, sugli output e sugli esiti intermedi”.

La sfida dell’innovazione in Sanità tra vincoli e trade off

Il manager sanitario, in sostanza, si trova stritolato dai seguenti vincoli:

1.   spendere “poco” (vincoli di bilancio)
2.   spendere in fretta (rispetto dei tempi)
3.   fare “vera” innovazione

E, qualora facesse il miracolo nel far convivere tra loro i primi due aspetti, la direzione verso cui orientare il terzo aspetto, il modo in cui tradurre la parolina “vera”, non gliela indica nessuno con chiarezza.

È tutto nelle sue mani. O forse, meglio, nella sua testa.
Nella sua “crescente autonomia”. Che troppo spesso fa rima con “perfetta solitudine”.

Ed ecco il quarto, importante, aspetto, l’autonomia (leggi: responsabilità enormi con scarso riconoscimento del ruolo):

4.  decidere in autonomia (su cosa orientare l’innovazione).

Cerchiamo di entrare un po’ meglio nel poker di “sfide” di cui sopra.

SFIDA N.1 – spendere poco

Ma perché il manager sanitario dovrebbe “spendere poco”?

Non ci era stato detto che i fondi del PNRR per la Sanità sarebbero stati tantissimi, belli e pronti per soddisfare la gran parte dei bisogni e delle aspettative di salute dell’intera collettività?

Beh, secondo il citato Rapporto, questa è solo la narrazione.
Ma la realtà, l’evidenza, è cosa ben diversa.

“I 15,6 miliardi del PNRR destinati alla Sanità, a cui si aggiungono 4 miliardi di fondi complementari, sono stati comunicati come un ingente investimento in conto capitale per espandere e innovare tecnologicamente l’offerta del SSN.
L’opinione pubblica si attende un aumento delle infrastrutture del SSN, con l’introduzione di nuovi setting, come Case e Ospedali della Comunità, nuovi format di servizio, come le televisite, e nuove figure professionali, come gli infermieri di famiglia e comunità.

È comprensibile che un piano come il PNRR, che ha grandi potenziali di sviluppo per il Paese in una prospettiva di lungo periodo, sia spesso comunicato come un intervento di ammodernamento capillare ed espansione dei servizi, anche con riferimento alla Sanità e al SSN.
Inoltre, un investimento di 20 miliardi in 6 anni, dunque 3,3 miliardi all’anno, appare effettivamente ingente se confrontato con la spesa in conto capitale recente del SSN: 1,4 miliardi annui nel 2018, 1,7 nel 2019”.

Fin qui la narrazione, ma…

“I fondi del PNRR sono senz’altro una buona notizia per il SSN, ma vanno calati nel contesto di offerta del SSN italiano.

Poco più di 3 miliardi all’anno, a ben vedere, non sono così generosi in un sistema da 130 miliardi di spesa sanitaria corrente.

Il rapporto è del 2,5%. Un valore abbastanza modesto considerando l’età media delle infrastrutture e delle tecnologie installate: il 27% delle unità immobiliari delle aziende del SSN risale a prima del 1946, il 30% al Dopoguerra (1946-69)”.

E non bisogna neppure farsi ingannare dalle apparentemente buone performance generali di sistema.
I manager sanitari, infatti, a farsi i conti in tasca “a casa loro”, non possono certo dormire sonni tranquilli:

I dati dei Conti Economici delle aziende sanitarie – si legge infatti nel Rapporto – mostrano un peggioramento delle performance a livello aziendale: l’aumento del finanziamento pubblico avvenuto nel 2021 (e 2020) non è stato sufficiente ad assorbire l’aumento dei costi che le aziende stanno osservando e a compensare i mancati ricavi per le attività non erogate come conseguenza del periodo pandemico.
Complessivamente, la buona performance a livello di sistema è trainata dagli interventi emergenziali di breve periodo piuttosto che da misure strutturali.
In vista dell’imminente stagione di grandi investimenti infrastrutturali e tecnologici, le singole aziende e i policy maker ai diversi livelli devono interrogarsi sul disallineamento tra risultati di sistema e performance dei singoli enti”.

Insomma,  ok che i fondi ci sono, e quelli del PNRR sono anche tanti. Ma non così tanti per risolvere un conflitto, ancora esistente, tra risorse realmente disponibili e bisogni reali.
Per non parlare delle aspettative della popolazione. Che – complice la potente narrazione post-pandemica – sono ancora enormi, immense, rispetto alla reale disponibilità di risorse.

Ed è proprio al manager sanitario che sta toccando l’ingrato compito di risolvere il trade off tra questi aspetti, peraltro operando in perfetta autonomia (solitudine?) rispetto alle scarse e vaghe indicazioni nazionali sulle effettive direttrici d’innovazione da intraprendere.

SFIDA N.2 – spendere in fretta

Ma perché il PNRR (e non solo in Sanità) sembra essere diventato più una corsa a spendere i fondi che non un’opportunità per fare vera innovazione direzionandoli verso progetti di qualità?

II PNRR – si legge nel Rapporto – è sostenuto da obiettivi e cronoprogrammi molto dettagliati, con una metrica concordata con l’Unione Europea basata su centinaia di indicatori.
L’attenzione mediatica e politica è spesso catturata dal raggiungimento o meno di tali traguardi realizzativi, che corrispondono allo sblocco di tranche di finanziamento europeo.
Per ogni progetto infrastrutturale, inclusi quelli dell’ambito sanitario, ci sono precise tappe da raggiungere, definite nel tempo: individuazione sito, progettazione, indizione gara, cantiere, apertura servizi.

Il PNRR, dunque, propone un meccanismo di pianificazione e controllo degli investimenti puntuale e rafforzato da forti disincentivi al ritardo implementativo.

SFIDA N.3 – fare vera innovazione

“I 198 indicatori della Componente 6 – Sanità – sottolinea però il Rapporto – riguardano prevalentemente la realizzazione di infrastrutture e l’acquisizione di tecnologie:

  • si concentrano sulla disponibilità di alcuni input che saranno fondamentali per l’erogazione dei servizi (51 indicatori, 26%)
  • prevedono chiari step di processo (129 indicatori, 65%)
  • in misura minore, fissano alcuni standard sui volumi di servizio, dunque gli output (18 indicatori, 9%).

Nessuna indicazione è però prevista in merito al service re-design, alla reingegnerizzazione dei processi professionali, allo sviluppo di nuove competenze professionali.

Questo apre ulteriori spazi decisivi per il management aziendale, che può, o forse deve, proporre una metrica aziendale per catturare la modifica del portafogli di attività, la trasformazione degli output, l’incremento degli outcome intermedi e finali”.

In tale contesto, quantomeno aleatorio, si delega dunque all’autonomia del management sanitario – e alle singole regioni – la corretta interpretazione della gestione dei fondi del PNRR, ossia la soluzione del trade off tra risorse da spendere per “mettere toppe” alle lacune dell’attuale sistema di assistenza e risorse da investire in un’azione di change management per fare “vera innovazione”, ossia per far evolvere ed espandere il nostro sistema sanitario verso gli ambiziosi obiettivi suggeriti – e ormai a portata di mano – dalle nuove ed emergenti tecnologie digitali.

SFIDA N.4 – decidere in autonomia 

Abbiamo visto, dunque, come il management delle aziende sanitarie stia vivendo in un contesto di crescente autonomia e fortissima responsabilità. Ma tutto ciò non è una conseguenza scontata ed evidente della gestione del PNRR in Sanità ed anzi, ma solo all’apparenza – come sottolineato dal Rapporto – il Piano sembrerebbe andare verso la compressione della suddetta autonomia:

Il PNRR, infatti, “viene spesso rappresentato come uno strumento di pianificazione nazionale di lungo periodo, molto dettagliato nella sua esplicita logica top down.

Il Piano, anche in Sanità, disciplinerebbe obiettivi, tempi, risorse, metriche, incentivi e disincentivi per garantire il successo realizzativo. Molti dei documenti di programmazione previsti dal PNRR, in primis il DM 77, proponendo standard infrastrutturali e di personale codificati per tutto il territorio nazionale, rafforzano la percezione di una logica di pianificazione top down.

Le indicazioni  del Piano e delle normative collegate sembrano comprimere significativamente gli spazi di adattamento locale, e quindi, di autonomia per le aziende sanitarie locali e per il loro management.

In realtà – come già sottolineato in più punti della presente analisi – “si tratta di indirizzi nazionali ampiamente indeterminati che lasciano al management locale la soluzione di rilevanti e difficili trade off strategici e, di conseguenza, aprono significativi ambiti di autonomia e responsabilità manageriale”.

Autonomia e spazio di azione che – come già evidenziato – cresce anche a causa della divergenza tra le risorse concretamente disponibili e i bisogni reali e le aspettative dei cittadini:

“Fisiologicamente, in uno scenario dove sono divergenti i trend tra bisogni e risorse, dove la narrazione collettiva è inconsistente e consolatoria, lo spazio di azione per il management cresce, dovendo determinare ciò che collettivamente è lasciato ampiamente indeterminato e inconsapevole.
Si tratta di una grande responsabilità sociale, che sottolinea il ruolo di rilevanza collettiva, quindi di importanza per la polis, del ruolo manageriale”.

Ruolo, quello del manager sanitario, che è anche poco riconosciuto e legittimato:

“Purtroppo – si legge nel Rapporto – si tratta di un rilevante spazio di autonomia e responsabilità senza consapevole ed esplicita legittimazione istituzionale e politica.

Nessuno chiede esplicitamente al management di gestire e monitorare questo scenario.

Si tratta  di una stagione difficile, dove è possibile assumere dei ruoli istituzionalmente e socialmente decisivi, senza però un pieno riconoscimento del ruolo, che non è concettualizzato come davvero necessario”.

PNRR e Sanità: che il management sia soprattutto change management

La Sanità va cambiata da dentro. E in tutto ciò serve un manager ribelle con “una vision e prospettiva minimo a 10 anni, curiosità, autenticità, capacità all’azione e capacità di avere un pensiero laterale”.

“Siamo davanti a una potenziale profonda stagione di cambiamento – si legge nel Rapporto –  che vede un rinnovato protagonismo del livello aziendale.

Il management diventa soprattutto change management.

Questo richiede di individuare i leader aziendali del cambiamento, da selezionare, ingaggiare e supportare. Significa disegnare e gestire vasti e profondi processi di cambiamento con prospettive pluriennali che spesso, fisiologicamente, superano l’arco temporale del mandato dei direttori, richiedendo infrastrutturazioni che superino la leadership del direttore, per rimanere coerenti ed efficaci nel tempo.

Il cambiamento va pianificato, vanno acquisite le necessarie competenze, vanno costruiti gli incentivi alla trasformazione, ma soprattutto va accompagnata la trasformazione cognitiva e identitaria dell’organizzazione.

Promuovere e accompagnare il cambiamento in organizzazioni professionali, brain intensive, pubbliche, costituisce una delle azioni manageriali più interessanti e sofisticate”.

Una grande sfida nella sfida per il nuovo manager della Sanità alle prese con la gestione dei fondi del PNRR.

PNRR e Sanità: il ruolo centrale delle competenze

Senza adeguate competenze digitali non c’è innovazione. La Sanità non fa eccezione. Occorre cambiare rotta. E con urgenza.

Competenze digitali: ora o mai più” – scrivevo a tal proposito nella scorsa primavera – sottolineando che – con il PNRR – ora che i soldi sono arrivati, il problema sembra essere diventato come spenderli. E che urge mettere le persone e le competenze al centro del processo di innovazione tecnologica in Sanità.

In perfetta sintonia con quanto poi emerso e sostenuto dal recente e succitato Rapporto OASI, le cui evidenze mettono in dubbio l’ipotesi per cui nuovi setting o nuove tecnologie possano di per sé trainare il cambiamento.

“L’ambito sanitario – precisa il Rapporto – essendo un settore brain intensive, vede infatti nelle competenze dei professionisti la principale determinante delle performance, anche in tema di innovazione.

Potrebbe quindi essere lo sviluppo di nuove competenze professionali, combinato con nuove modalità di erogazione, a dare sostanza ai setting previsti dal PNRR.

Se così fosse, la maggior parte degli investimenti dovrebbe essere di natura immateriale, per lo sviluppo delle capacità individuali, ma soprattutto, per sostenere il ridisegno dei servizi e per ricostruire l’organizzazione delle interdipendenze professionali lungo le filiere erogative: ospedale hub, ospedale spoke, specialisti convenzionati, MMG”.

PNRR: in Sanità, competenze più importanti dei muri!

Sono le nuove competenze che modificano le configurazioni di servizio o sono le nuove configurazioni di servizio che modificano le competenze? – ci si chiede nel Rapporto.

Il PNRR, allocando la maggior parte delle risorse su investimenti tecnologici e infrastrutturali, assume la prima ipotesi e la veicola.

Chi scrive (Francesco Longo e Alberto Ricci, autori del capitolo del Rapporto OASI al quale si sta facendo riferimento, ndr.) – consapevole della necessità di entrambi i vettori di cambiamento, invoca una maggiore attenzione alle competenze, che in Sanità, probabilmente, sono più determinanti dei muri.

Questo è vero soprattutto laddove l’innovazione riguarda i processi assistenziali: la stratificazione, la sanità di iniziativa, la presa in carico, le cure di transizione, la Telemedicina, l’Intelligenza Artificiale.

Tutti gli ambiti citati vedono un prevalere del driver della competenza su quello dell’hardware, che in molti casi si avvicina sempre più ad una commodity fungibile”.

PNRR e Sanità: il ruolo del Privato

Chi toccherà palla per i progetti del PNRR in Sanità? Ce lo chiedevamo un anno fa:

“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è una grande opportunità per innovare il Sistema Sanitario del nostro Paese.

Ma i giochi saranno davvero appannaggio di tutti?
Chi parteciperà effettivamente ai progetti e che ruolo potranno avere Privati e Startup?”,
si domandava Roberta Gilardi, qui su HealthTch360.

“La narrazione della risposta COVID ha spinto il policy maker a investire le risorse finanziarie disponibili esclusivamente nella componente pubblica del SSN, in modo da rafforzare le infrastrutture, le tecnologie, le ICT degli erogatori pubblici – sottolinea al proposito il Rapporto.

Di fatto, tutte le risorse del PNRR sono state allocate ad aziende pubbliche, anche se le regole dei fondi UE non ostacolano il finanziamento di concessionari privati.

Questa scelta ha sottratto al dibattito la questione del ruolo del privato accreditato, che corrisponde al 17% della spesa SSN, con alcune grandi regioni – come Lazio e Lombardia – oltre il 25%.

Quale funzione possono svolgere gli erogatori privati nei processi di trasformazione verso nuove logiche di  servizio, come la presa in carico e le cure di transizione, che necessariamente devono coinvolgere tutti gli erogatori?

L’assenza di un ruolo definito comporta incoerenze e parzialità significative.

Il PNRR prevede che le CdC siano popolate di attività ambulatoriali specialistiche e diagnostiche e di MMG/PLS.
Il 60% dei punti di erogazione dell’attività ambulatoriale del SSN è gestita da soggetti privati accreditati, senza contare che MMG e PLS sono liberi professionisti convenzionati.

Questo impone una riflessione profonda sul rapporto pubblico-privato nella gestione di processi di trasformazione e riallocazione delle risorse che, in assenza di indicazioni sovra-ordinate, necessariamente devono essere gestiti dal management a livello locale”.

Un’altra bella patata bollente nelle mani del manager, insomma.

E forse non solo nelle sue, ma in quelle di tutti noi portatori d’interesse che abbiamo a cuore un futuro migliore per la nostra salute.

Noi che abbiamo avuto la pazienza di arrivare fin qui e che – ripensando a quanto letto – magari sovrappensiero, ci siamo messi a canticchiare:

Manager, se io fossi un manager, chissà cosa farei…”.

Forse inconsapevoli che – se lo desideriamo davvero – manager di questo cambiamento epocale in Sanità potremmo oggi davvero esserlo un po’ tutti, diventando parte attiva dei processi decisionali delle politiche sanitarie.

Si tratta di credere (e abbracciare) il nuovo modello e paradigma della Sanità Partecipata, trasformandoci così in veri attori e protagonisti dell’innovazione nel nostro Paese.

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