Health Analytics

Sanità: AAA cercasi Data Analyst

Le industry e i mercati se la contendono, la cercano come il pane. La figura del Data Analyst sta diventando sempre più rara, ancor più se con esperienza e specializzata in ambito Healthcare. Ma cosa fa esattamente, perché non è facile trovarne e come formare le nuove generazioni?

Pubblicato il 16 Apr 2022

Vincenzo Lio

Data Scientist

Il mondo che ci circonda è un po’ come Matrix: dimmi che dati hai e ti dirò chi sei, chi sei stato e cosa fai e potrai fare (con qualche percentuale d’errore nella previsione).
Una continua generazione di dati di diversa forma e sostanza e da diverse fonti.
Video, foto, registrazioni vocali, messaggi istantanei, post, commenti, like e qualunque altra espressione digitale che rappresenti un pensiero, un’idea, una deduzione.
Il volume, la velocità e la varietà di questi dati – ed ancora la veridicità ed il valore – definiscono i tanto celebrati Big Data.

Dalle imprese manifatturiere, alla pubblica amministrazione, al sistema sanitario: ogni ente o entità esistente oggi produce dati. Ma non li consuma bene. O solo in parte.

Health Analytics: a cosa serve analizzare i dati 

Descrivere il contesto nel quale si opera, si vive, si interagisce, permette di definire linee d’azione per concretizzare corrette decisioni che possano portare valore aggiunto e condurre al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

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Nell’ambito della Health Analytics, analizzare i dati serve a:

  • individuare tendenze e comportamenti ripetuti nel tempo
  • tenere sotto controllo valori soglia
  • analizzare il passato
  • avere una visione d’insieme di cosa sta accadendo in un momento (e spazio) esatto
  • identificare potenziali miglioramenti dei processi decisionali
  • infine, riuscire a trarre le opportune conclusioni.

L’analisi dei dati in Sanità 

I focus sanitari sull’analisi dati sono tanti. Vediamone alcuni esempi:

  • gestione aziendale (analisi dei costi, ricavi, investimenti, fondi)
  • gestione dei flussi dei pazienti (emergenze, ricoveri, Day Hospital)
  • gestione delle materie prime (farmaci, dipendenti, flussi di in/out magazzino, livello minimo delle scorte, ad esempio il sangue per le operazioni ed il controllo delle donazioni)
  • gestione del personale (turn-over, competenze, corsi di formazione, valutazioni, commissioni di valutazioni)
  • gestione del rischio (eventi calamitosi, eventi pandemici, saturazione pronto soccorso)
  • buon funzionamento dei sistemi informativi, dai quali passano moli di dati in input e output (e, quindi, il fatto che non si blocchino le apparecchiature, che non siano in manutenzione o che si possa prevederne la manutenzione o il monitoraggio continuo)

Particolare attenzione merita tutto ciò che riguarda la ricerca clinica, le sperimentazioni, i campionamenti.

E, quanto visto, solo se restiamo al mero ambito del sistema sanitario, al suo interno.
Ma pensiamo a tutto ciò che ruota all’esterno di questo sistema. Al settore assicurativo, ad esempio, che si occupa dei sinistri e delle relazioni assicurative per il rimborso dei premi, agli enti pubblici, che analizzano e controllano la spesa sanitaria, agli utenti, infine, che vogliono legittimamente informarsi sulla qualità della struttura a cui si rivolgono. A questo punto, dovemmo espandere la nostra visione e correlare alle informazioni interne queste ulteriori informazioni, provenienti dall’esterno, e catturarne i potenziali legami causa-effetto.

Come trasformare i dati in informazioni 

In ambito sanitario, il volume, la velocità, la varietà, la veridicità ed il valore dei dati incarnano in pieno la definizione di Big Data.

Ma come gestire al meglio i dati? Come pulirli, filtrarli, analizzarli, trasformarli in informazioni fruibili al fine di prendere corrette (migliori) decisioni “tempestive” rispetto ad una cultura non centrata sull’analisi dei dati ma solo sull’euristica?

Riguardo alla Sanità, nel nostro territorio sono demandate alle singole Regioni le procedure di raccolta dati ma, in generale, gli Enti Regionali Sanitari rispettano un quadro comunitario-nazionale all’interno del quale operare. Esistono, infatti, numerosi strumenti e sistemi utilizzati per raccogliere, archiviare, condividere e analizzare i dati sanitari raccolti attraverso vari mezzi.

Alcuni esempi – solo per citare quelli incentrati maggiormente sull’utente/paziente del sistema sanitario – sono:

Le tecnologie abilitanti per l’Health Analytics

E qui serve la tecnologia innovativa, il cloud e i servizi annessi per tenere i dati lontani da possibili rischi di distruzione e per consentirne il monitoraggio all’accesso (One Identity) e implementare sistemi di backup e integrità. E occorre la visualizzazione dei dati attraverso software di BI con apps create ad hoc e customizzate a seconda dell’uso specifico ma, in particolare, focalizzate su analisi storiche e analisi dei dati “live”.

In particolare, in ambito Analytics, disporre di un’intelligenza artificiale a supporto delle decisioni può rivelarsi di grande utilità:

  • in ambito clinico (previsioni malattie, prescrizioni farmaci)
  • in ambito amministrativo come nella gestione del personale o della previsione di spesa sanitaria, di monitoraggio e controllo con alert automatici che avvertono delle anomalie
  • in ambito organizzativo per allocare ottimamente e in tempi stretti le risorse necessarie per far fronte ad un’emergenza sanitaria (catastrofi, pandemie, epidemie, incidenti).

Sicurezza e privacy dei dati sanitari

La mole di dati presenti nel sistema sanitario ha un alto valore economico e, se i dati venissero gestiti come aggregato, dovrebbero essere protetti da accessi indesiderati attraverso progetti innovativi di data governance e cybersecurity.

Inoltre, l’attenzione alla privacy per l’accesso alle informazioni sanitarie è importante per sapere chi e come accede alle nostre informazioni e quando – e in particolare se – abbiamo concesso il permesso per farlo.

Oltre al semplice accesso passivo e, quindi, di semplice richiesta, è importante poter avere uno storico degli accessi ai dati personali sanitari: chi, come, quando e perché.

Il punto dolente: AAA cercasi Data Analyst

Big Data, ma poche persone che sanno (come) analizzarli.

Oggi come oggi, la figura del Data Analyst esperto sta diventando sempre più rara, indipendentemente dal settore di analisi di cui si dovrebbe occupare.
Ciò ci fa comprendere perché è ancora più difficile trovarne con specializzazioni nell’ambito sanitario.

Nuove tecnologie (cloud) relativamente allo storage, alla pulizia del dato, all’analisi e ai linguaggi di programmazione per l’analisi dei dati, i modelli di previsione e – in particolare – la visualizzazione dei dati per estrarne informazioni da comunicare per prendere decisioni. E’ questo il lavoro di un Data Analyst.

Il mercato li chiede, ma mancano. Perché mancano?

Perché non c’è una formazione adeguata e calibrata sulla domanda del mercato del lavoro e sulle skill che caratterizzano un Data Analyst e perché tali skill sono spesso carenti o assenti.

Quindi, tali figure vanno formate da zero.

Quali strategie per formare i nuovi Data Analyst? 

È possibile pensare ad una strategia di lungo periodo che promuova la formazione di figure professionali come i Data Analyst?
Per rispondere a questa domanda, è utile esplorare il contesto formativo e sociale in cui essi sono oggi coinvolti.

Chiediamoci: i nostri giovani, a che punto sono con il saper leggere, interrogare, analizzare, rappresentare e raccontare le informazioni che provengono da questo mondo?

Soffermiamoci, ad esempio, sui giovani tra i 14 e i 19 anni che frequentano gli istituti superiori. I ragazzi di cui parliamo sono i primi produttori di dati (YouTube, Facebook, Instagram, Tik-Tok, Tinder e chi ne ha più ne metta) ma non ne sono i fruitori perché non hanno le conoscenze, gli strumenti e le competenze per fruirne. Perché?
Perché in Italia non c’è alcun indirizzo di studio (o parte di esso) che insegni ai ragazzi ad analizzare i dati, ad organizzarli in informazioni organiche e ad estrarne valore.

L’esigenza di nuovi percorsi di studio 

Esistono i percorsi ITS per l’industria 4.0, percorsi post-diploma in collaborazione con aziende (in forma di partenariato pubblico privato) che possono fornire una prima risposta alla possibilità di consapevolizzare e professionalizzare i ragazzi all’analisi dei dati.
Ma perché non creare un percorso strutturato? E, quindi, investire 5 anni (stiamo parlando di 5 anni!) nella formazione di persone qualificate in ambito Data Analytics?

Matematica, Informatica, Inglese come materie di base di un ipotetico indirizzo di Data Analytics con declinazione particolare all’insegnamento di linguaggi di programmazione come Python/R, strumenti di gestione del dato (di ultima generazione come, ad esempio, i servizi AWS: S3, Glue, Redshift, Sagemaker), strumenti di rappresentazione del dato per trasformarlo in informazione da comunicare (QlikSense, Tableau, PowerBI).

Tutto questo applicato a qualunque potenziale focus che sia la moda, le piccole e medie imprese manifatturiere, il settore sanitario, la scuola stessa e a qualunque tipo di dato.

Andando ad indagare i programmi ministeriali, vi sono poche tracce che riguardano prettamente l’analisi dei dati aventi come finalità ultima quella di formare una figura professionale quale un Junior Data Analyst. Oggi più che mai, per guardare ad un futuro che, ormai, è presente, servirebbe un nuovo modo di vedere e gestire le informazioni che ci circondano. Educando i ragazzi, professionalizzandoli a saper gestire, interrogare, rappresentare i dati trasformandoli in informazioni da poter comunicare al fine di prendere decisioni, si farebbe il primo e più importante passo in questa direzione.

Data Analytics: occorre formare anche i docenti 

Il mercato del lavoro chiede Data Analytics ogni giorno. Ma l’offerta formativa non è in grado di soddisfare questa richiesta, in particolar modo perché conoscenze e competenze in questo ambito si acquisiscono nel percorso universitario o immediatamente post-universitario, in genere sviluppando competenze ben più specifiche, orientate alla formazione di figure molto più focalizzate e skillate nella modellistica, quali i Data Scientist.

Perché non pensare, dunque, a iniziare a creare un percorso incentrato sugli Analytics?

E qui viene la domanda sorge spontanea: quanti sono i docenti in grado di insegnare agli alunni le nuove tecnologie? Qual è la conoscenza dei servizi in cloud come AWS, Google Cloud, Cloudera da parte dei docenti? E soprattutto, di quanti?

Quanto è elevato il costo-opportunità di chi ha competenze relative a tecnologie cloud e di analisi dati operando la scelta di lavorare nella Scuola rispetto al farlo in aziende nelle quali è possibile guadagnare di più e crescere professionalmente?

Possiamo pensare di tracciare una rotta per il futuro dei nostri giovani e delle future menti che guideranno il nostro Paese solo insegnando loro a interrogare i dati per prendere ponderate e sensate decisioni.

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